Osservatorio sulla finanza e la contabilità degli enti locali

 

Quaderno n. 1

 

POTERE REGOLAMENTARE DEGLI ENTI LOCALI PROGRAMMAZIONE E PREVISIONE

Roma ottobre 1999 

 

 

CAPITOLO I 

 

CONSIDERAZIONI PRELIMINARI

 

 

SOMMARIO:1. Questione generale;  2. Nuovo sistema di bilancio; 3. Valenza pluriennale delle previsioni di bilancio; 4. Leggibilità dei documenti di bilancio; 5. Coordinamento e coerenza  dei documenti di bilancio; 6. Utilizzo dei modelli di bilancio.

 

 

1.  Questione generale.

 

In sede di formazione della legge 8 giugno 1990, n. 142, sull’ordinamento delle autonomie, dopo aver valutato in senso negativo le proposte di un’attribuzione alle autonomie locali di tutta l’attività di normazione applicativa dei principi contenuti nella legge, si addivenne alla formulazione del comma 1 dell’art. 55 che ha testualmente affermato che “l’ordinamento finanziario e contabile è riservato alla legge dello Stato”. Occorreva in ogni caso affermare, in via di principio l’esigenza di comportamento univoco degli enti a garanzia della coerenza dell’ordinamento giuridico generale. Questa esigenza è rimasta valida anche dopo le numerose e talvolta rilevanti variazioni normative successivamente introdotte.

 

Alla riserva di legge si è adempiuto, dopo oltre due anni, con il comma 2 dell’art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, che ha delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi “diretti al riordino dell’ordinamento finanziario e contabile delle amministrazioni provinciali, dei comuni, dei loro consorzi e delle comunità montane, con l’osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi:

 

a)            armonizzazione con i principi della contabilità generale dello Stato per la parte applicativa dei principi contenuti nella legge 8 giugno 1990, n. 142, tenendo conto delle esigenze del consolidamento dei conti pubblici e dell’informatizzazione;

           

b)            applicazione dei principi contenuti nella legge 8 giugno 1990, n. 142 con l’introduzione in forma graduale e progressiva della contabilità economica a decorrere dal 1995 fino ad interessare tutti gli enti, con facoltà di applicazione anticipata;

           

c)            definizione, nell’ambito del sistema di contabilità economica, dei principi per la determinazione dei costi e degli ammortamenti dei servizi degli enti locali;

           

d)            inclusione nell’ordinamento finanziario e contabile della possibilità di ricorso all’istituto del dissesto per il risanamento degli enti locali in grave crisi finanziaria, secondo i criteri contenuti nelle leggi in vigore, e coordinamento delle norma in materia”.

 

In esecuzione della delega è stato emanato il decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77, che ha riordinato in un unico corpo normativo le numerose e frammentarie norme fino allora vigenti, ad iniziare dal regolamento della legge comunale e provinciale del 1911.

 

Il decreto legislativo si è ispirato, fin dall’inizio, al principio di garantire la massima autonomia agli enti locali, non coprendo tutta la materia, anzi rinviando espressamente su molteplici argomenti, come viene specificato al paragrafo 2, al regolamento di contabilità.

 

Subito dopo l’emanazione, entro i termini previsti, è stato fatto uso della facoltà di emanare disposizioni correttive ed è stato approvato il decreto legislativo 11 giugno 1996, n. 336. Successivamente, le disposizioni del decreto legislativo sono state modificate con i seguenti provvedimenti:

 

a)         legge 23 dicembre 1996, n. 662;

           

b)         decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30;

           

c)         legge 15 maggio 1997, n. 127;

           

d)         decreto legislativo 15 settembre 1997, n. 342;

           

e)         legge 27 dicembre 1997, n. 449;

           

f)          decreto legislativo 23 ottobre 1998, n. 410;

           

g)         legge 23 dicembre 1998, n. 448.

 

h) legge 18 febbraio 1999, n. 28

 

 

3.         Nuovo sistema di bilancio.

           

            Uno dei principali elementi innovativi dell’ordinamento finanziario e contabile disegnati dal decreto legislativo n. 77 del 1995 è il nuovo sistema complessivo di bilancio.

           

            Nel precedente sistema, regolato dal D.P.R. n. 421 del 1979, i documenti di bilancio ruotavano attorno al bilancio di previsione annuale, considerato quale fulcro dell'impianto normativo, sia per l'aspetto programmatorio che per l'aspetto gestionale.

           

            Conseguenze negative di tale impostazione, non volute dal legislatore, ma di fatto comuni alla maggior parte degli enti locali, sono state :

                       

1)         la redazione in maniera automatica e ripetitiva del bilancio pluriennale;

           

2)            l'assenza di validi e veridici contenuti di programmazione nella relazione previsionale e programmatica.

           

            La nuova disciplina normativa, recata dal decreto legislativo n. 77 del 1995 e dal D.P.R. n. 194 del 1996, considera i documenti di programmazione unitamente ai documenti di gestione, delineando un sistema unitario di bilancio costituito dai seguenti documenti principali :

           

3)         bilancio annuale di previsione;

           

4)         bilancio pluriennale di previsione;

           

5)            relazione previsionale e programmatica;

           

6)         piano esecutivo di gestione (per gli enti tenuti ad adottarlo o che intendano farlo).

           

            Nel mentre i principi, le caratteristiche e le peculiarità dei singoli documenti sono illustrate nei paragrafi che seguono, si vuole - in sede di introduzione generale - evidenziare la stretta connessione dei documenti stessi tra loro, nell'ambito di un sistema complessivo di bilancio innovativo rispetto al passato.

           

            Tre sono i principali elementi di novità :

           

7)         la valenza pluriennale del sistema;

           

8)         la lettura non più solo contabile dei documenti;

           

9)         la necessaria coerenza ed interdipendenza dei vari segmenti del sistema

           

            di bilancio.

           

           

4.         Valenza pluriennale delle previsioni di bilancio.

           

            La crescente autonomia finanziaria, la conseguente minore dipendenza degli enti locali da trasferimenti di risorse da parte di altri soggetti pubblici, i nuovi compiti trasferiti o delegati agli enti locali: queste sono tre (tra le principali) motivazioni di una seria e reale programmazione per gli enti locali. In questo contesto il singolo esercizio appare temporalmente sempre più angusto e limitato, non in grado di dimostrare in modo significativo la capacità di programmazione e di realizzazione dell'ente.

           

            L'attenzione del legislatore agli aspetti pluriennali della programmazione va al di là, quindi, della pur importante novità del carattere "autorizzatorio" del bilancio pluriennale, significando reale attenzione alla corretta programmazione ed al corretto utilizzo delle risorse, incisività ed affidabilità dei programmi e chiarezza degli obiettivi definiti da ciascun ente.

           

           

5.         La leggibilità dei documenti di bilancio.

           

            Il "sistema di bilancio" degli enti locali è stato, in passato, per lo più affidato alla competenza esclusiva degli uffici di ragioneria (o qualificazione corrispondente), con la conseguenza che l'aspetto contabile ha oscurato gli aspetti programmatori e gestionali del sistema e - conseguenza ancora più grave - che si è radicato un diffuso disinteresse da parte degli altri settori dell'ente locale alla concreta predisposizione ed attuazione del bilancio.

           

            Il nuovo sistema tende a far uscire il bilancio dalla stretta competenza degli uffici finanziari, partendo dal presupposto che le conoscenze contabili di base devono essere patrimonio comune di tutti i settori dell'ente, ma soprattutto che il bilancio deve risultare "leggibile" al di là degli aspetti contabili in esso contenuti.

           

            La prima proposizione di tale genere era, infatti, già recata dalla legge n. 142 del 1990, la quale, all'art. 55, comma 4, prevede che : "il bilancio ed i suoi allegati devono comunque essere redatti in modo da consentire la lettura per programmi, servizi ed interventi".

           

            La  portata di una tale affermazione non solo risiede nella prefigurazione di una classificazione degli aggregati di bilancio (in seguito attuata con il D.P.R. n. 194 del 1996), ma bensì, in primo luogo, si applica alla considerazione di un documento complessivo di bilancio realisticamente leggibile non solo attraverso le cifre ma anche attraverso le parole.

           

            Il legislatore intendeva, quindi, sottrarre il bilancio alla stretta (e quasi forzata) competenza degli "addetti ai lavori" per renderlo strumento accessibile ai più.

           

            Questa rinnovata ottica è stata tenuta in massima considerazione dal legislatore delegato, il quale con il decreto legislativo n. 77 del 1995 ha disegnato un sistema nel quale:

           

1)         la componente contabile è solo una delle componenti di formazione e lettura del bilancio;

           

2)         le tradizionali conoscenze gius-contabili diventano, necessariamente, patrimonio comune di tutti i soggetti preposti alla programmazione ed alla gestione dell'ente.

           

            Il carattere ermetico dei bilanci classici e la scarsa capacità della contabilità finanziaria ad esprimere in termini quantitativi e qualitativi gli obiettivi gestionali (ed in sede di rendicontazione i risultati raggiunti) possono ora essere superati attraverso un corretto uso delle potenzialità del nuovo sistema. In tale ambito, l'introduzione della contabilità patrimoniale ed economica, con elementi di contabilità analitica, unitamente ad una esposizione chiara degli obiettivi da conseguire e delle risorse disponibili, rendono possibile il coinvolgimento di tutti gli operatori all'interno dell'ente locale e la necessaria trasparenza dell'azione amministrativa verso l'esterno.

           

           

6.            Coordinamento e coerenza dei documenti di bilancio.

           

            La prevalenza nel precedente sistema di bilancio degli aspetti strettamente contabili e la mancanza di un reale contenuto programmatorio degli atti hanno portato, nel passato, a considerare la predisposizione degli allegati principali al bilancio annuale (il bilancio pluriennale e la relazione previsionale) quasi solo un esercizio di stile, obbligatorio per legge ma senza una valenza pratica.

           

            Il nuovo sistema impone, invece, una reale coerenza degli atti di bilancio in sede di predisposizione degli stessi ed il mantenimento di tale coerenza anche in fase di gestione.

           

            Ciò implica una considerazione “complessiva” del sistema di bilancio, un raccordo stabile e duraturo tra le diverse previsioni (contabili, gestionali, di politiche, di obiettivo) incluse nei documenti di programmazione. Nel concreto e nel pratico svolgimento dell’attività amministrativa ciò significa l’abbandono di una gestione legata alla necessità del momento ed il perseguimento, da parte delle strutture dell’ente, di fini e scopi delineati e conosciuti.

           

           

7.         Utilizzo dei modelli di bilancio.

 

L’autonomia degli enti locali in fase di programmazione e di gestione non può, peraltro, prescindere da alcune necessità di livello superiore, tra le quali va incluso l’utilizzo di modelli predeterminati. Gli obblighi in tal senso hanno lo scopo, come è chiaro, di garantire una chiave di lettura e di estrapolazione dei dati a livello di aggregati, oltre che consentire i controlli esterni nei casi ancora previsti dalla legge. L’unicità di lettura consente, in tal modo, una verifica della veridicità delle previsioni, nonché la leggibilità, dall’interno o dall’esterno, del bilancio dell’ente.          

 

Il richiamo al modello vigente è riportato, per ciascun documento di bilancio, all’inizio dei relativi capi del presente quaderno.

           

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO  II

 

LA POTESTA’ REGOLAMENTARE DEGLI ENTI LOCALI

 

 

 

 

SOMMARIO:1. Regolamento di contabilità;  2. Termine per l’adeguamento dei regolamenti di contabilità; 3. Contenuto del regolamento di contabilità; 4. Materie rimesse al regolamento di contabilità e norme inderogabili; 5. Materie rimesse al regolamento di contabilità da norme derogabili.

 

 

1.  Regolamento di contabilità.

 

Tra le varie modifiche all’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, emanato con il decreto legislativo n. 77 del 1995, ha importanza determinante la legge n. 127 del 1997 la quale ha introdotto la novità di considerare inderogabili solo alcuni articoli del decreto legislativo n. 77 e di consentire che gli altri potessero essere disciplinati in modo differente nel regolamento di contabilità degli enti locali, conservando la vigenza della norma statale in caso di mancato esercizio del potere di deroga.

 

Gli articoli 59, comma 1, della legge n. 142, prima, e l’art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 77, poi, in applicazione del diritto alla normazione diretta riconosciuto dall’art. 5 della legge n. 142 del 1990, prevedono che l’ente locale si doti di un regolamento di contabilità con il quale si applicano i principi contabili stabiliti dall’ordinamento, con le modalità organizzative corrispondenti alle caratteristiche di ciascuna comunità, ferme restando le disposizioni previste dall’ordinamento per assicurare l’unitarietà ed uniformità del sistema finanziario e contabile.

 

La potestà regolamentare degli enti locali trova nella disciplina del sistema complessivo di bilancio uno dei punti più qualificanti e, occorre dirlo, un serio banco di prova per il reale esercizio dell’autonomia. Infatti, le norme ordinamentali in materia di “bilancio” costituiscono una grande cornice, con alcune uniformità essenziali e determinate regole non eludibili, comunque non sufficienti a fornire una disciplina completa, per la quale è necessaria la presenza di specifiche e peculiari disposizioni dettate dall’ente per i propri fini organizzativi e per l’affermazione della propria “singolarità” in relazione allo svolgimento delle funzioni ed al raggiungimento degli obiettivi individuati.

 

La competenza ad adottare e variare il regolamento di contabilità, anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 127 del 1997 è del Consiglio dell’ente locale, in applicazione dell’art. 31, comma 2, lettera a) della legge n. 142 del 1990.

 

 

2. Termine per l’adeguamento dei regolamenti di contabilità.

 

Il termine per la deliberazione o meglio l’adeguamento dei vecchi regolamenti alle nuove norme ordinamentali ha subito varie vicissitudini ed era stato più volte prorogato ed a volte correlato a  sanzioni. Ciò non ha però favorito una generale osservanza della norma.

 

Da ultimo, il termine è stato fissato, dall’art. 9, comma 7, della legge n. 127 del 1997, al 31 ottobre 1997. La norma ha tuttavia contenuto chiaramente ordinatorio facendo riferimento e quindi legando l’adempimento alla “prima applicazione” del decreto legislativo n. 77 del 1995 e successive modificazioni. Ovviamente, sono possibili successive modificazioni, ogniqualvolta sia necessaria una diversa disciplina delle materie demandate al regolamento.

 

L’adeguamento dei regolamenti è determinante, in quanto solo in tal modo gli enti locali possono coprire con norme positive tutte le parti che il decreto legislativo ha rimesso alla definizione del regolamento, anche per istituti di notevole importanza, ed avere quindi un corpo normativo completo, realmente applicabile all’ente considerato nella sua peculiarità.

 

 

3.  Contenuto del regolamento di contabilità.

 

E’ opportuno che il regolamento di contabilità contenga esclusivamente norme applicative, senza ripetere quelle proprie dell’ordinamento. Tra l’altro, oltre ad una migliore leggibilità dello strumento autonomo, si evita così che successive modifiche legislative rendano necessarie anche modifiche regolamentari.

 

E’, invece, indispensabile che il regolamento riempia i vuoti lasciati dalla norma ordinamentale e dalla stessa evidenziati. Si riportano di seguito, a tal riguardo, le materie che l’ordinamento ha rimesso alla sede regolamentare, con distinzione per le parti dell’ordinamento ritenute inderogabili e per quelle che la legge n. 127 del 1997 ha ritenuto derogabili. Sono sottolineati i rinvii necessari. Ovviamente, i rinvii effettuati da norme derogabili hanno senso solo nel caso in cui l’ente locale non si sia avvalso della facoltà di derogarle.

 

 

4.         Materie rimesse al regolamento di contabilità da norme inderogabili.

 

Gestioni di enti o organismi per l’esercizio di funzioni e servizi.

 

Il comma 2 dell’art. 2 del D.Lgs. n. 77 del 1995 consente di evidenziare i risultati globali delle gestioni relative ad enti od organismi costituiti per l’esercizio di funzioni e servizi.

 

Competenze dei soggetti della programmazione.

 

Il comma 3 dell’art. 2 del D.Lgs. n. 77 del 1995 impone che il regolamento di contabilità stabilisca le competenze specifiche dei soggetti dell’amministrazione preposti alla programmazione, adozione ed attuazione dei provvedimenti di gestione che hanno carattere finanziario e contabile. La mancata regolamentazione lascia l’incertezza nelle competenze degli organi dell’amministrazione.

 

Modalità dei pareri.

 

Il comma 5 dell’art. 3 del D.Lgs. n. 77 del 1995 impone che il regolamento di contabilità disciplini le modalità con le quali vengono resi i pareri di regolarità contabile. La mancata regolamentazione non consente chiarezza nelle competenze del responsabile del servizio finanziario.

 

Segnalazioni obbligatorie per i casi di compromissioni dell’equilibrio di bilancio.

 

Il comma 6 dell’art. 3 del D.Lgs. n. 77 del 1995 impone che il regolamento disciplini le segnalazioni di fatti e valutazioni del responsabile del servizio finanziario in ordine al costituirsi di situazioni di compromissione dell’equilibrio di bilancio. In questo tipo di segnalazioni, che sono da regolamentare, l’ordinamento assegna un termine di sette giorni dalla conoscenza dei fatti che va ritenuto perentorio per il collegamento ad esso del termine di trenta giorni assegnato al consiglio dell’ente. La mancata regolamentazione consente al responsabile del servizio finanziario di effettuare segnalazioni incerte o ambigue.

 

Pubblicità del bilancio e dei suoi allegati.

 

Il comma 7 dell’art. 4 del D.Lgs. n. 77 del 1995 impone che i regolamenti tutti e quindi anche quello di contabilità assicurino la conoscenza dei contenuti del bilancio e dei suoi allegati. La mancata regolamentazione viola il principio di pubblicità del bilancio.

 

Comunicazione dell’utilizzazione del fondo di riserva.

 

Il comma 2 dell’art. 8 del D.Lgs. n. 77 del 1995 impone che il regolamento di contabilità stabilisca i tempi entro i quali debbano essere comunicate al consiglio dell’ente le deliberazioni di giunta relative all’utilizzo del fondo di riserva. La mancata regolamentazione non consente al consiglio di conoscere le modalità di utilizzo di tali stanziamenti.

 

Inammissibilità ed improcedibilità delle deliberazioni di consiglio.

 

Il comma 8-bis dell’art. 12 del D.Lgs. n. 77 del 1995, introdotto dall’art. 2 del decreto legislativo 15 settembre 1997, n. 342 impone che il regolamento di contabilità preveda i casi di inammissibilità o di improcedibilità delle deliberazioni di consiglio e di giunta che non sono coerenti con le previsioni della relazione previsionale programmatica.

 

Questa norma, per essere esattamente intesa, deve essere letta con riguardo alla finalità che il legislatore ha inteso perseguire che è quella di accordare il giusto rilievo alla relazione previsionale e programmatica, affermandone il ruolo di strumento essenziale di gestione dell’ente. Tale documento, previsto dall’art. 12 dell’ordinamento, stenta a trovare un suo adeguato ruolo nella prassi degli enti. Esso costituisce lo strumento programmatorio principale, senza il quale nessuna attività decisionale può essere efficacemente perseguita nel rispetto dei principi costituzionali di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione.

 

La norma vuole, dunque, che l’ente predisponga una forma di controllo interno affinché venga assicurato, sin dalla fase propositiva, che le deliberazioni della giunta e del consiglio siano coerenti con le previsioni di programma. L’inammissibilità ed improcedibilità non vanno intesi nel senso tecnico con il quale sono usati nella giustizia amministrativa, in quanto la norma li pone in relazione a provvedimenti di amministrazione attiva.

 

L’inammissibilità fa riferimento ad una proposta di deliberazione esaminata e discussa e successivamente giudicata non coerente con le linee di azione individuata dalla relazione, mentre l’improcedibilità si ha nel caso in cui la proposta di deliberazione viene ritirata prima di essere esaminata e discussa dall’organo competente. La norma lascia liberi gli enti di specificare con il regolamento di contabilità le modalità ed i soggetti preposti alla suddetta verifica di coerenza e i modi dell’eventuale ritiro.

 

Il linguaggio legislativo, per quanto inusuale nella disciplina dell’attività amministrativa, non introduce quindi nuove figure giuridiche; il legislatore, come già detto, si è preoccupato di richiamare l’attenzione sul ruolo strategico che occupa la programmazione nell’attività dell’ente. La norma fa obbligo agli enti di trovare i modi più consoni per garantire che i provvedimenti che vengono adottati nel corso della gestione siano vagliati con riferimento ai contenuti della programmazione. Al fine di rispettare la norma, l’atto non deve pregiudicare gli equilibri di bilancio. Eventuali modifiche degli obiettivi, dei programmi e dei progetti, rispetto a quelli indicati nella relazione, debbono essere esplicitamente deliberate, indicando i motivi che le rendono necessarie, le parti della relazione che vengono modificate e con quali conseguenze sugli equilibri del bilancio annuale e di quello pluriennale.

 

I casi di applicazione della norma che si illustra, da indicare nel regolamento di contabilità, possono essere i seguenti:

 

1)            contrasto con le finalità dei programmi e dei progetti in termini di indirizzi e di contenuti;

           

2)            mancanza di compatibilità con le previsioni delle risorse finanziarie destinate alla spesa corrente o di investimento;

             

3)            mancanza di compatibilità con le previsioni dei mezzi finanziari e delle fonti di finanziamento dei programmi e dei progetti;

           

4)            mancanza di compatibilità con le risorse umane e strumentali destinate a ciascun programma e progetto.

 

I predetti criteri vanno tenuti presenti in sede di parere tecnico e di regolarità contabile di cui all’art. 53 della legge n. 142 del 1990, ferma restando la competenza alla decisione finale da parte dell’organo politico.

 

Va detto, infine, che sembra opportuna la previsione regolamentare di un potere di intervento, nei casi sopra evidenziati, da parte dell’organo di revisione affinché i provvedimenti siano rimessi nuovamente all’organo emanante per la loro armonizzazione, se possibile, con le previsioni di programma.

 

La mancata regolamentazione priva il corpo normativo dell’ente locale di una protezione che la legge ha voluto dargli per difendere la strategia della programmazione dalla casualità di interventi successivi, in genere episodici e non programmati, che possano snaturarla.

 

Termine per gli emendamenti al bilancio ed ai suoi allegati.

 

Il comma 2 dell’art. 16 del D.Lgs. n. 77 del 1995 impone che il regolamento di contabilità preveda i termini entro i quali possono essere presentati da parte dei consiglieri emendamenti agli schemi di bilancio ed ovviamente ad i suoi allegati. La mancata regolamentazione consente di proporre in ogni tempo e con qualsiasi modalità gli emendamenti al bilancio, impedendo un sollecito svolgimento dei lavori consiliari.

 

Contenuto dell’ordinativo d’incasso.

 

Il comma 3 dell’art. 24 del D.Lgs. n. 77 del 1995 consente al regolamento di contabilità di stabilire contenuti ulteriori rispetto a quelli minimi indispensabili previsti per gli ordinativi di incasso.

 

Versamenti in tesoreria.

 

Il comma 3 dell’art. 25 del D.Lgs. n. 77 del 1995 impone che il regolamento di contabilità stabilisca la cadenza dei versamenti in tesoreria degli incaricati interni alla riscossione di entrate. La mancata regolamentazione induce a prassi contabili irregolari e pericolose per l’unitarietà della gestione.

 

Trasmissione degli atti di impegno.

 

Il comma 8 dell’art. 27 del D.Lgs. n. 77 del 1995 impone che il regolamento di contabilità stabilisca i termini entro i quali e le modalità con le quali gli atti d’impegno sono trasmessi al responsabile del servizio finanziario. La mancata regolamentazione comporta problemi  di efficacia nell’azione amministrativa.

 

Atti d’impegno.

 

Il comma 9 dell’art. 27 del D.Lgs. n. 77 del 1995 consente che il regolamento di contabilità stabilisca le modalità per l’assunzione di impegni dei responsabili dei servizi.

 

Ricognizioni sullo stato di attuazione dei programmi.

 

Il comma 2 dell’art. 36 del D.Lgs. n. 77 del 1995 consente che il regolamento di contabilità di stabilire periodicità ulteriori rispetto al termine minimo del 30 settembre per effettuare la ricognizione sullo stato di attuazione dei programmi.

 

Riconoscimento di debiti fuori bilancio.

 

Il comma 1 dell’art. 37 del D.Lgs. n. 77 del 1995  consente che il regolamento di contabilità fissi una periodicità nell’adozione delle deliberazioni di riconoscimento dei debiti fuori bilancio. La mancata regolamentazione irrigidisce le competenze del consiglio e quindi consente di effettuare detti riconoscimenti solo in occasione dell’adozione dell’atto deliberativo di cui all’art. 36.

 

Controllo di gestione.

 

Il comma 1 dell’art. 39 del D.Lgs. n. 77 del 1995 consente che il regolamento di contabilità definisca specifiche modalità per il controllo di gestione.

 

Oggetto del servizio di tesoreria

 

Il comma 1 dell’art. 51 del D.Lgs. n. 77 del 1995 consente che il regolamento di contabilità stabilisca norme relative al servizio di tesoreria, in aggiunta a quelle della legge e dello statuto.

 

Affidamento del servizio di tesoreria.

 

Il comma 1 dell’art. 52 del D.Lgs. n. 77 del 1995 impone che il regolamento di contabilità stabilisca norme per la gara da effettuare per la concessione del servizio di tesoreria. La mancata regolamentazione impone all’ente l’adozione delle norme previste dalla legislazione nazionale in materia di appalto di servizi.

 

Verifiche di cassa.

 

Il comma 2 dell’art. 64 del D.Lgs. n. 77 del 1995 consente al regolamento di stabilire autonome verifiche di cassa da parte dell’amministrazione dell’ente.

 

Termine per la relazione dell’organo di revisione al rendiconto della gestione.

 

Il comma 2 dell’art. 69 del D.Lgs. n. 77 del 1995 consente che il regolamento di contabilità fissi un termine anche superiore a venti giorni per l’invio al collegio dei revisori, per la stesura della propria relazione, del rendiconto generale della gestione.

 

Parametri di efficacia ed efficienza.

 

Il comma 6 dell’art. 70 del D.Lgs. n. 77 del 1995 consente che il regolamento di contabilità stabilisca parametri di efficacia ed efficienza ulteriori rispetto a quelli fissati dal regolamento statale che ha approvato il modello del conto del bilancio.

 

Conti economici di dettaglio.

 

Il comma 8 dell’art. 71 del D.Lgs. n. 77 del 1995 consente che il regolamento di contabilità preveda conti economici di dettaglio per servizi o per centri di costo.

 

Conti consolidati.

 

Il comma 6 dell’art. 72 del D.Lgs. n. 77 del 1995 consente che il regolamento di contabilità preveda la compilazione di conti consolidati patrimoniali per tutte le attività e passività interne ed esterne o anche conti patrimoniali di inizio e fine mandato degli amministratori.

 

Beni mobili non inventariabili.

 

Il comma 8 dell’art. 72 del D.Lgs. n. 77 del 1995 consente che il regolamento di contabilità preveda la definizione delle categorie di beni mobili non inventariabili in ragione della natura di beni di facile consumo o di modico valore.

 

Funzioni dell’organo di revisione.

 

Il comma 1 dell’art. 105 del D.Lgs. n. 77 del 1995 consente che il regolamento di contabilità disciplini l’attività di collaborazione con il consiglio e fissi un termine superiore a venti giorni per la relazione del collegio dei revisori. Impone anche di dotare lo stesso collegio dei mezzi necessari per lo svolgimento dei propri compiti.

 

 

5.         Materie rimesse al regolamento di contabilità da norme derogabili.

 

Trasmissione della documentazione di entrata.

 

Il comma 1 dell’art. 23 del D.Lgs. n. 77 del 1995 dispone che il regolamento di contabilità stabilisca tempi e modi per la trasmissione della documentazione dell’entrata al responsabile del servizio finanziario.

 

Firma e contenuto del mandato di pagamento.

 

Il comma 2 dell’art. 29 del D.Lgs. n. 77 del 1995 consente che il regolamento di contabilità individui il dipendente sottoscrittore e stabilisca eventuali ulteriori elementi rispetto a quelli minimi previsti dalla norma per il mandato di pagamento.

 

Modalità del controllo di gestione.

 

Il comma 1 dell’art. 40 del D.Lgs. n. 77 del 1995 consente che il regolamento di contabilità fissi la cadenza periodica per lo svolgimento del controllo di gestione.

 

Operazioni di riscossione.

 

Il comma 2 dell’art. 56 del D.Lgs. n. 77 del 1995 dispone che il regolamento di contabilità fissi le modalità per la fornitura dei modelli, per la registrazione delle entrate e per la comunicazione delle operazioni di riscossione eseguite nonché la relativa prova documentale.

 

Gestione di titoli e valori.

 

Il comma 3 dell’art. 63 del D.Lgs. n. 77 del 1995 dispone che il regolamento di contabilità definisca le procedure per i prelievi e per le restituzioni.

 

Cause di cessazione dall’incarico di revisore.

 

Il comma 3 dell’art. 101 del D.Lgs. n. 77 del 1995 dispone che il regolamento di contabilità stabilisca la durata dell’impossibilità a svolgere l’incarico di revisore che fa scattare la cessazione dalla carica.

 

Limiti all’affidamento dell’incarico di revisore.

 

Il comma 1 dell’art. 104 del D.Lgs. n. 77 del 1995 consente che il regolamento di contabilità fissi disposizioni diverse per i limiti complessivi all’affidamento di incarichi ai revisori.

 

Gradualità di ammortamento dei beni.

 

Il comma 2 dell’art. 117 del D.Lgs. n. 77 del 1995 consente che il regolamento di contabilità fissi le modalità per considerare interamente ammortizzati beni mobili non registrati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO III

 

LA RELAZIONE PREVISIONALE E PROGRAMMATICA

 

 

 

 

SOMMARIO:1. Il modello; 2. Programmazione e previsione; 3. Caratteristiche della relazione; 4. Fasi della relazione; 5. Coerenza con il programma triennale delle opere pubbliche.

 

 

1.  Il modello.

 

Il modello della relazione previsionale e programmatica degli enti locali è stato approvato con D.P.R. n. 326 del 3 agosto 1998. L’utilizzo di tale modello, distinto in quattro versioni per tipologia di ente (provincia, comune e unione di comuni, comunità montana, città metropolitana), è stato facoltativo per l’anno 1999 ed obbligatorio a decorrere dal bilancio per l’anno 2000.

 

La legge n. 142 del 1990 indica la relazione quale allegato al bilancio. Le considerazioni che seguono, invece, dimostrano che la sua compilazione ha carattere prioritario.

 

Fino a quando non si dovrà redigere il documento in Euro, esso dovrà riportare, almeno nei totali generali, i valori in Euro oltre che in lire.

 

 

2.  Programmazione e previsione.

 

Se programmare significa, secondo autorevole dottrina, “fornire particolareggiata enunciazione di ciò che si vuole fare, d’una linea di condotta da seguire, degli obiettivi cui si mira e dei mezzi coi quali si ritiene di poterli raggiungere”, allora la programmazione deve essere posta alla base di qualsivoglia attività dell’ente locale.

 

Non vi può essere rispetto dei principi di bilancio, a partire dalla veridicità e fino al pareggio finanziario, se non vi è programmazione. Non vi può essere attività, non vi può essere gestione, non vi può essere controllo, se non vi è programmazione.

 

L’approccio con il quale vengono affrontati i procedimenti di formazione dei documenti contabili dell’ente deve necessariamente partire dalla programmazione, attraverso la relazione previsionale e programmatica ed il bilancio pluriennale; solo nel prosieguo può darsi corso alla previsione, attraverso la predisposizione del bilancio di previsione annuale, e quindi, poi, dell’eventuale piano esecutivo di gestione.

 

Il legislatore degli ultimi vent’anni ha praticato un percorso piuttosto lungo per giungere alle norme stringenti che il D.Lgs. 25 febbraio 1995, n. 77 ha così puntualmente definito.

 

Già l’art. 11 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, attribuiva alle regioni la determinazione dei “ programmi regionali di sviluppo in armonia con gli obiettivi della programmazione nazionale e con il concorso degli enti locali territoriali ”; successivamente l’art. 34 della legge 5 agosto 1978, n. 468, richiamava il concorso degli enti locali territoriali nella determinazione degli obiettivi programmatici dei bilanci pluriennali delle regioni in riferimento ai programmi regionali di sviluppo; poco dopo l’art. 1 del D.P.R. 19 giugno 1979, n. 421 ha stabilito l’obbligo per le province ed i comuni di redigere il bilancio pluriennale in relazione a quanto previsto per il bilancio della regione di appartenenza; infine la legge 26 aprile 1983, n. 131 ha introdotto, in sede di conversione del decreto legge 28 febbraio 1983, n. 55, l’art. 1 quater, il quale ha prescritto, per la prima volta, che “ le province ed i comuni sono tenuti ad allegare al bilancio di previsione una relazione previsionale e programmatica per il periodo considerato dal bilancio pluriennale della regione ”.

 

E’ di tutta evidenza lo stretto nesso che deve legare la programmazione provinciale e comunale con la programmazione regionale, il cui piano di sviluppo deve fungere da volano per tutta l’attività degli enti territoriali, specie dopo la recente normazione volta al decentramento di funzioni scaturente dall’attuazione della legge n. 59 del 1997.

 

Un’osservazione appena attenta delle norme attualmente in vigore può agevolmente cogliere il circolo virtuoso disegnato dal legislatore negli ultimi anni proprio in funzione del raggiungimento degli obiettivi sopra enunciati.

 

L’art. 3, comma 5, della legge 25 marzo 1993, n. 81, prescrive infatti che “ con la lista di candidati al consiglio comunale deve essere anche presentato il nome e cognome alla carica di sindaco e il programma amministrativo da affiggere all’albo pretorio ”. Inoltre, il comma 2-bis all'art. 34 della predetta legge n. 142 del 1990, inserito con la legge 3 agosto 1989, n. 265, prevede per il sindaco e per il presidente della provincia l'obbligo di presentare al consiglio, entro il termine fissato dallo statuto e sentita la giunta, le linee programmatiche relative alle azioni ed ai progetti da realizzare nel corso del mandato.  Viene stabilito altresì che lo statuto disciplina i modi della partecipazione del consiglio alla definizione, all'adeguamento e alla verifica periodica dell'attuazione delle linee programmatiche espresse dal sindaco, dal presidente della provincia e dei singoli assessori.  

 

L’art. 7, comma 7, del D.Lgs.  n. 77 del 1995 nel definire il concetto di programma, “ quale complesso coordinato di attività, anche normative, relative alle opere da realizzare e di interventi diretti ed indiretti, non necessariamente solo finanziari, per il raggiungimento di un fine prestabilito “ lo inquadra “ nel più vasto piano generale di sviluppo dell’ente ”.

 

Infine gli articoli 4 e seguenti, 11, 12 e 13 dello stesso decreto delegato definiscono rispettivamente il bilancio annuale, il piano esecutivo di gestione, la relazione previsionale e programmatica, il bilancio pluriennale.

 

La corretta applicazione del nuovo modo di amministrare gli enti locali, quale fortemente voluta dal legislatore risiede proprio nel rispetto di un percorso che parte dal programma amministrativo del candidato sindaco o presidente, transita attraverso le linee programmatiche comunicate all’organo consiliare, trova esplicitazione nel piano generale di sviluppo dell’ente - da considerare quale programma di mandato- ed infine si sostanzia nei documenti tradizionali della programmazione, relazione previsionale e programmatica e bilancio pluriennale, nella previsione del bilancio annuale e, per ultimo, nello strumento di indirizzo gestionale, il P.E.G.

 

Come si avrà modo di evidenziare, i valori inseriti nei documenti di programmazione (bilancio pluriennale, annuale e PEG) sono valori finanziari.

 

Va peraltro annotato che l’aspetto economico della gestione, in tutta la normativa, è prevalente nella considerazione dei necessari obiettivi che l’ordinamento assegna al sistema informativo obbligatorio. Ed infatti, a titolo di esempio, i risultati della gestione devono essere determinati mediante contabilità economica. Ed ancora, la valutazione delle forme di gestione, la formulazione degli obiettivi analizzando le diverse alternative, la misurazione dei risultati ai fini della quantificazione delle componenti accessorie dello stipendio, la individuazione dei costi nell’ambito del controllo di gestione, sono esempi di concetti che richiedono ed impongono  innanzitutto la considerazione degli aspetti economici.

 

Ne consegue che i valori finanziari, a preventivo, devono esprimere la dimensione finanziaria di fatti economici previamente valutati. Così il controllo finanziario durante la gestione, come si esprime attraverso le norme che si propongono di realizzare costantemente nel tempo una eccedenza degli accertamenti sugli impegni, impone un vincolo, finanziario rispetto a fatti che, sotto il profilo gestionale ,devono sempre essere valutati nella loro dimensione economica.

 

Si deve aggiungere infine che la programmazione finanziaria, se preceduta da quella economica, diventa tecnicamente agevole e soprattutto attendibile e veridica nei valori che elabora.

 

 

3.  Caratteristiche della relazione.

 

In tale contesto assume particolare rilevanza il ruolo della relazione previsionale e programmatica, il cui contenuto tecnico-descrittivo consente la produzione di un documento altamente efficace, sia in funzione dei dati, non solo finanziari, che può esporre  e sia dello spazio che può riservare alle illustrazioni, alle comparazioni, alle motivazioni, non solo tecniche.

 

L’art. 12 del D.Lgs n. 77 del 1995 offre una elencazione puntuale dei contenuti della relazione stessa, ponendo in particolare evidenza il carattere generale della relazione, con ciò significando che essa racchiude l’intero panorama programmatorio, sia in termini di tempo – il periodo compreso nel bilancio pluriennale - sia in termini di contenuti, comprendente cioè gli aspetti finanziari ed economici, ma anche gli aspetti fisici, strutturali e financo politici, della manovra di bilancio.

           

 Da un punto di vista pratico, la redazione della Relazione comporta cinque momenti, o fasi, strategici e  caratterizzanti:

 

1)         la ricognizione delle caratteristiche generali;

             

2)         la individuazione degli obiettivi;

           

3)         la valutazione delle risorse;

           

4)         la scelta delle opzioni;

           

5)         la individuazione e redazione dei programmi e dei progetti.

 

 

4.  Fasi della relazione.

 

4.1.  Ricognizione.

 

Partendo dal dettato del secondo comma dell’art. 12, prima citato, si nota come il legislatore delegato disegna il percorso della ricognizione con una serie di verbi, da ritenersi imperativi, quali “illustra”, “precisa”, “comprende”, “valuta”, “individua”, “evidenzia”. Un susseguirsi di azioni volte dunque ad una sorta di censimento, o di monitoraggio, degli oggetti puntualmente elencati:

 

1)            popolazione:

             

2)            territorio;

           

3)            economia insediata;

           

4)         servizi, con evidenziazione di risorse:

 

3.2.      umane;

           

3.3.            strumentali;

           

3.4.      tecnologiche

 

 

Ne nasce una sorta di fotografia dell’esistente, un quadro dettagliato di quello che deve essere il punto di partenza della programmazione. In quel contesto, e su quell’ordito, deve quindi costruirsi il piano di sviluppo dell’ente, compreso nel periodo interessato dalla relazione.

 

Si vanno dunque ad acquisire dati sulla popolazione, a partire dalle risultanze dell’ultimo censimento, fino alla consistenza risultante alla fine del penultimo anno precedente, definendo ed aggiornando appositi trend per fasce di età. Questa raffigurazione nel tempo dell’evoluzione della popolazione considerata (nonché ogni altra informazione, quale i tassi di natalità e di mortalità) è utile per guidare e sostenere la programmazione. Si consideri, a titolo di esempio, l’importanza del tasso di natalità e l’entità di popolazione in età prescolare per orientare gli investimenti in materia di edilizia scolastica, oppure l’incidenza della popolazione in età più avanzata al fine di programmare interventi di assistenza agli anziani.

 

La ricognizione si orienta quindi al territorio, osservandone le caratteristiche fisiche, altimetriche, morfologiche; acquisendo anche informazioni sull'igiene ambientale, sugli strumenti urbanistici e programmatori vigenti, proprio in funzione del disposto del comma 7 dell’art. 12 del D. Lgs. n.77 del 1995 il quale, come sopra evidenziato, impone la fornitura di "adeguati elementi che dimostrino la coerenza delle previsioni annuali e pluriennali con gli strumenti urbanistici".

 

Viene poi lasciato uno spazio all'economia insediata, per evidenziare le varie componenti del tessuto produttivo, e per una corretta individuazione dei bisogni sociali e degli opportuni interventi nel campo del lavoro, della distribuzione, del terziario.

 

Per ultimo la ricognizione si rivolge ai servizi dell'ente, evidenziandone dapprima le risorse umane e poi le risorse strutturali, strumentali e tecnologiche, fino ad individuare quei servizi che vengono gestiti, non direttamente dall’ente, attraverso gli organismi gestionali previsti dalla legge n.  142 del 1990.

 

4.2.   Individuazione degli obiettivi

 

Completata l’azione di monitoraggio sulle varie componenti e caratteristiche dell’ente, e resi perciò cogniti i termini della realtà sulla quale si è chiamati ad operare, spetta ora all'ente formulare i propri obiettivi programmatori.

 

Le proposte di obiettivi formulate dai vari Responsabili dei servizi devono assumere a proprio orientamento ed indirizzo:

 

1)         il programma amministrativo del Sindaco o del Presidente;

             

2)         le linee programmatiche comunicate all’organo consiliare;

           

3)         il piano generale di sviluppo dell’ente;

           

4)         i risultati della ricognizione di cui al sottoparagrafo 4.1 del presente capitolo;

           

5)         le direttive generali della Giunta o in mancanza le direttive assessoriali;

           

6)         le indicazioni proprie dei servizi, basate sulle esperienze maturate direttamente sul campo.

 

4.3.  Valutazione delle risorse

 

Recita l’art. 12, comma 2, ultimo periodo del D.Lgs n. 77 del 1995 che la relazione previsionale e programmatica “ comprende, per la parte entrata, una valutazione generale sui mezzi finanziari, individuando le fonti di finanziamento  ed evidenziando l’andamento storico degli stessi ed i relativi vincoli ”.

 

E’ del tutto evidente l’evoluzione normativa rispetto alle indicazioni del D.P.R. 19 giugno 1979, n. 421: alle generiche “illustrazione del quadro complessivo delle risorse e dimostrazione della capacità di ricorso al mercato”, postulanti un’attività sostanzialmente ricognitiva, ancorché gravata dai vincoli della puntuale dimostrazione, si sostituisce ora un’azione incisiva ed altamente propositiva.

 

I mezzi finanziari necessari per la realizzazione dei programmi e dei progetti della spesa devono essere “valutati”, vale a dire:

 

1)            individuati quanto a tipologia;

             

2)            quantificati in relazione al singolo cespite;

           

3)         descritti in rapporto alle rispettive caratteristiche;

           

4)         misurati in termini di gettito finanziario.

 

 

Contestualmente devono essere individuate le forme di finanziamento, avuto riguardo alla natura dei cespiti, se ricorrenti e ripetitivi (quindi correnti) oppure se straordinari (e quindi riferiti ai movimenti di capitale ed ai movimenti di fondi).

 

Per ultimo la valutazione delle risorse deve offrire, a conforto della veridicità della previsione, un trend storico che evidenzi gli scostamenti rispetto agli “accertamenti” tenuto conto dell’andamento delle riscossioni, non già alle previsioni, degli esercizi precedenti.

 

Il legislatore delegato ha così inteso modellare uno strumento programmatorio che tragga solo dal concreto i propri contenuti.

 

La relazione deve essere coerente con il piano di sviluppo dell’ente di cui all’art. 7, comma 7, del D.Lgs. 77/1995, dev’essere coerente con gli strumenti urbanistici e relativi piani di attuazione di cui all’art. 12, comma 7, ma non ne può e non ne deve acquisire acriticamente gli aspetti ed i risvolti che evidenzino, anche minimamente, contenuti utopici o meramente dichiarativi. Il richiamo alla “valutazione” impone la puntuale individuazione dei mezzi finanziari e la loro attendibilità, naturalmente per l’intero periodo coperto dal bilancio pluriennale.

 

Proprio per tale caratteristica, la relazione deve quindi operare una sorta di verifica preventiva. Deve cioè verificare il finanziamento delle spese del primo periodo, valutare gli effetti che le stesse possono produrre nei periodi successivi, ed adeguare in conseguenza la previsione dell’entità dei mezzi finanziari da reperire per i periodi corrispondenti. Ciò comporta una selezione dei mezzi finanziari da attivare, privilegiando quelli che offrano maggiori affidabilità ed elasticità. Portare infatti le fonti di finanziamento ai regimi massimi, come un’aliquota tributaria al livello più alto o un ricorso al credito al limite della delegabilità delle entrate correnti, rappresenta una pericolosa forma di irrigidimento, specie in funzione degli esercizi successivi, e crea i presupposti per ridurre il livello di veridicità.

 

4.4.  Scelta delle opzioni

           

Partendo dai dati e dalle informazioni rilevati con la fase della ricognizione, individuati gli obiettivi programmatici, verificato che le risorse finanziarie non sono quasi mai sufficienti a perseguire tutti gli obiettivi, si impone dunque la scelta tra più opzioni.

 

Pur nel rispetto delle scelte “politiche” dell’amministrazione, occorre considerare i dati finanziari, vale a dire la destinazione delle risorse. In tale ottica la priorità spetta certamente al finanziamento delle spese correnti consolidate, riferite cioè ai servizi essenziali e strutturali, al mantenimento del patrimonio e dei servizi ritenuti necessari.

 

La parte rimanente può quindi essere destinata alla spesa di sviluppo, intesa quale quota di risorse aggiuntive che si intende destinare al potenziamento quali-quantitativo di una certa attività, o alla creazione di un nuovo servizio, indipendentemente dalla natura della spesa.

 

Infine la previsione di spese di investimento, il cui finanziamento, attraverso l’istituto dell’accantonamento di quote di ammortamento ed attraverso il comportamento virtuoso imposto dal “patto di stabilità interno” (di cui all’art. 28 della legge n. 448 del 1998), sarà sempre più riservato a risorse di parte corrente.

 

4.5.             Individuazione e redazione dei programmi e dei progetti.

 

Occorre affrontare ora il problema del processo di formazione dell’indirizzo cioè del processo che deve portare, partendo da obiettivi generali, alla definizione di programmi e progetti per l’azione amministrativa, per la gestione e per l’organizzazione.

 

Non sembra che il legislatore abbia voluto modificare la portata dei programmi se non per la maggiore dignità formale che gli ha voluto assegnare. Di conseguenza, dovendo dettarne le caratteristiche, occorre sciogliere il nodo costituito dalla loro ampiezza. Quale sia la struttura dello strumento previsionale, occorre cioè stabilire se l’ente debba formularli all’interno di ciascuna singola funzione ovvero se possa liberamente formularli a cavallo delle stesse come a volte accade.

 

La prima soluzione («programma endofunzionale») appare la più semplice anche per la formulazione di schemi omogenei, in quanto così il programma diviene la specificazione organizzatoria della funzione.

 

Ma la seconda ha il vantaggio di assecondare meglio la volontà degli enti e la libera espressione di una parte del complessivo piano di attività dell’ente, assolutamente non comprimibile entro spazi predefiniti. Questa soluzione farebbe propendere per «programmi interfunzionali o plurifunzionali».

 

 L’analisi corretta della normativa fa risaltare con decisione che il programma è il cardine della programmazione, imposto e descritto dall’art. 55, comma 4, della legge 8.6.1990, n. 142. L’inserimento della descrizione del programma nell’art. 7, comma 7, del D.Lgs n. 77 del 1995 è finalizzato ad ottenere l’obiettivo di permeare l’intera preparazione del bilancio sul contenuto del programma che diviene elemento fondamentale della struttura del bilancio ed elemento essenziale per la definizione dei rapporti tra organi politici (Consiglio, Giunta, Sindaco, Presidente), e tra questi e la struttura dell’ente, nonché per la corretta informazione sui contenuti effettivi delle scelte al cittadino utente e contribuente: evidenza pubblica e comunicazione sociale del bilancio annuale e pluriennale.

 

Nella costruzione, formulazione e approvazione dei programmi si svolge l’attività di definizione delle scelte «politiche» che è propria del massimo organo elettivo preposto all’indirizzo e al controllo. In questa sede si deve esprimere la migliore forma e la migliore qualità delle decisioni politiche che caratterizzano l’ente.

 

E’ indispensabile, al riguardo, il riferimento alle "linee programmatiche"  di cui all’art. 34 della legge n. 142 del 1990 come modificata dalla legge 3 agosto 1999, n. 265.

 

Tali linee programmatiche, presentati dal Sindaco e dal Presidente della provincia al Consiglio, rappresentano il momento della “pianificazione strategica” dalla quale promana la successiva definizione dei programmi pluriennali e annuali.

 

L’art. 7 parla di programmi anche nell’ultimo periodo del comma 5 laddove si afferma che «la parte spesa è leggibile anche per programmi dei quali è fatta analitica illustrazione in apposito quadro di sintesi del bilancio e nella relazione previsionale e programmatica». Pertanto i programmi sono contenuti:

 

1)         in apposito quadro di sintesi del bilancio;

             

2)         nella relazione previsionale e programmatica.

 

Dei programmi occorre fare analitica illustrazione prendendo coscienza che da qui inizia il processo di definizione degli indirizzi e delle scelte che deve portare all’affidamento di obiettivi e risorse ai responsabili dei servizi e quindi della gestione e dei risultati. Inizia di qui il collegamento tra indirizzo politico-amministrativo, bilancio dell’amministrazione e budget a disposizione dei responsabili dei servizi.

 

Si è nella fase di definizione dei programmi e quindi nel bilancio programmatico che dovrà poi condurre al bilancio gestionale.

 

Già in questa fase è possibile che siano introdotti progetti di contenuto applicativo dei singoli programmi e che dettaglino le concrete attività da porre in essere (vedi art. 7, comma 5, e art. 12, comma 3 del D.Lgs n. 77 del 1995).

 

Quindi con la definizione dei programmi e degli eventuali progetti si compie un passo essenziale per la «distinzione» (e non per la «separazione») tra indirizzo politico e amministrazione su questa base si cerca di riportare la politica nell’ambito e alla qualità suoi propri - gli obiettivi, le scelte e le mediazioni di fondo, gli indirizzi operativi, la distribuzione delle macrorisorse - e di valorizzare, entro questi confini, l’autonomia delle amministrazioni, che non è meramente esecutiva, ma implica scelte. Il raccordo è assicurato dal controllo degli organi politici sui risultati della gestione affidata ai responsabili dei servizi.

 

3.2.            Predisposizione del modello della relazione

           

            Come ricordato al punto 3.1 il D.P.R. 3 agosto 1998, n. 326, ha approvato i modelli e schemi contabili relativi alla relazione previsionale e programmatica. Nel nuovo modello è stato disegnato un preciso percorso per la piena applicazione del disposto dell’art. 12, prima citato.

           

            Il modello è suddiviso in sei sezioni così rubricate:

           

1.            caratteristiche generali della popolazione, del territorio, dell’economia insediata e dei servizi dell’ente;

             

2.         analisi delle risorse;

           

3.         programmi e progetti;

             

4.         stato di attuazione dei programmi deliberati negli anni precedenti e considerazioni sullo stato di attuazione;

           

5.         rilevazione per il consolidamento dei conti pubblici;

           

6.            considerazioni finali sulla coerenza dei programmi rispetto ai piani regionali di sviluppo, ai piani regionali di settore, agli atti programmatici della regione.

           

            Il modello contiene le indicazioni minime necessarie, vale a dire che lo stesso può essere liberamente integrato di altre indicazioni, di altri prospetti, di altri elementi e  di altre informazioni che siano ritenuti utili ai fini della illustrazione del bilancio annuale e del bilancio pluriennale, nonché dei programmi e dei progetti negli stessi contenuti.

           

            La forma grafica è per altro obbligatoria per le sezioni da 2 a 6, restando facoltativa per la sezione 1 riservata alle caratteristiche generali.

           

            Prescindendo quindi da quest’ultima, e dalle valutazioni conclusive, solo descrittive, di cui alla Sezione 6, si richiamano taluni aspetti delle Sezioni centrali, da 2 a 5.

           

            Per completezza di materia, si avverte che ai fini di consentire la corrispondenza generale delle previsioni col bilancio pluriennale, è utile aggiungere un prospetto nel quale si possano inserire anche gli oneri della restituzione dei prestiti.

           

3.3.      La sezione 2 – Analisi delle risorse.

           

            E’ strutturata in successivi prospetti che, partendo da un quadro riassuntivo, esaminano ciascun titolo dell’entrata, evidenziandone i cespiti con sostanziale riferimento alle categorie ed imponendo per ciascuno una serie di valutazioni, descrizioni, analisi, ritenute necessarie per dimostrare l’attendibilità della previsione di entrata, quale affermata tra i principi fondamentali del bilancio di previsione dall’art. 4 del D. Lgs. n. 77 del 1995.

           

            Ciascun prospetto si compone di una serie di colonne, riunite in due raggruppamenti principali, il trend storico e la programmazione pluriennale, e concluse con l’indicazione della percentuale di scostamento tra la previsione dell’esercizio in corso e la previsione del bilancio annuale proposto, dando così attuazione al disposto dell’art. 12, comma 5, del D. Lgs. n. 77 del 1995.

           

            La parte riferita al trend storico comprende due colonne contenenti dati di rendiconto, ovvero gli accertamenti, per ciascuna voce indicata, degli ultimi due esercizi precedenti quello in corso. In sede di programmazione del bilancio 2000, le due colonne indicano le risultanze consuntive degli esercizi 1997 e 1998.

           

            La terza colonna è invece riservata alla previsione dell’esercizio in corso (nel nostro esempio il 1999). Le risultanze che vi devono essere indicate vanno riferite alla previsione assestata del bilancio, ovvero devono comprendere tutte le variazioni che nel corso dell’esercizio sono state apportate alle previsioni iniziali. 

           

            La parte riferita alla programmazione pluriennale comprende semplicemente le tre colonne riferite a ciascuno degli anni cui il bilancio pluriennale si riferisce.

           

3.4.      La sezione 3 – Programmi e progetti.

           

            L’art. 12 dell’ordinamento che disciplina la relazione previsionale e programmatica prevede espressamente che per la parte spesa la relazione è redatta per programmi e per eventuali progetti.

           

            Ciascun programma  ha i seguenti contenuti:

           

1)         scelte adottate con specificazione delle finalità che si intende conseguire e con indicazione di parametri ponderali utili a misurare il grado di raggiungimento del risultato atteso;

             

2)            indicazione delle risorse umane utilizzate;

           

3)            indicazione delle risorse strumentali impiegate;

           

4)         motivazione.

           

            Ogni programma contiene altresì i seguenti altri elementi come risultano allo schema approvato dal legislatore con il D.P.R.  n. 326 del 1998 :

           

5)            dimostrazione della copertura finanziaria: si espone, anno per anno del triennio, quanto si finanzia con entrate specifiche, quanto con entrate correlate ai servizi e quanto con risorse generali e cioè con il complesso delle risorse indistinte iscritte in bilancio;

             

6)         analisi della spesa nel triennio: si indica, anno per anno, la spesa corrente consolidata, rigida e immodificabile per atti assunti in precedenza, quella di sviluppo e quella per investimento.

           

           

           

           

           

3.5.      La sezione 4 – Stato di attuazione dei programmi.

           

            Per una maggior presenza di dati e per il completamento della ricognizione, anche finanziaria, dello stato attuale dell’ente, questa Sezione della Relazione Previsionale prevede un prospetto che elenca, analiticamente, i progetti di opere pubbliche finanziati negli esercizi precedenti e non ancora, in tutto o in parte, realizzati, avendo riferimento:

           

1)            all’oggetto dell’opera;

             

2)         al Servizio di riferimento (dovendosi indicare il codice a 4 caratteri di Funzione-Servizio), alla struttura cioè che sta curando, o che avrebbe dovuto curare, la realizzazione dell’opera;

           

3)         all’anno di impegno dei fondi;

           

4)            all’importo totale dell’opera, con evidenza della parte già liquidata;

           

5)         alla fonte di finanziamento.

           

           

            Una seconda parte, descrittiva, vale ad illustrare lo stato di attuazione dei programmi e, semmai, ad argomentare l’elenco più o meno corposo delle opere non ancora completate. Occorre tenere conto dell’andamento dei valori dei parametri indicati al sottoparagrafo 4.8 punto 1) del secondo capoverso.

           

            4.10.             La sezione 5 – La rilevazione per il consolidamento dei conti pubblici.

           

            Comprende un prospetto di grandi dimensioni, nella doppia versione D.P.R. n. 421 del 1979, ormai obsoleta, D. Lgs. n. 77 del 1995  e D.P.R. n. 194 del 1996.

           

            Il prospetto comprende due quadri. Il primo, contraddistinto con la lettera A), riferito alle spese correnti, il secondo, contraddistinto con la lettera B), riferito alle spese in conto capitale.

           

            La compilazione risulta relativamente agevole, comprendendosi sostanzialmente l’elencazione degli Interventi di spesa, integrati con alcune specificazioni, specie sui destinatari pubblici della spesa, cui corrisponde una serie di colonne intestate alle singole funzioni della spesa stessa.

           

           

4.            Coerenza col programma triennale delle opere pubbliche.

 

Secondo le disposizioni dell’art. 14 del D.Lgs. n. 77 del 1995 (cfr. § 6 del capitolo IV) al bilancio annuale è allegato, tra gli altri, il programma delle opere pubbliche prescritto dall’art. 11 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni.

 

La prescrizione finora non ha potuto essere seguita in quanto lo schema del programma triennale avrebbe dovuto essere definito con decreto del Ministero dei lavori pubblici ai sensi del comma 11 dello stesso art. 14. Ma il citato Ministero ha ora predisposto il regolamento della legge n. 109, che è in corso di esame al Consiglio di Stato. E’ da presumere che, varato il regolamento, sarà subito predisposto il decreto ministeriale che fissa gli schemi del programma triennale e degli elenchi annuali.

 

Secondo il successivo comma 12 del citato art. 14, le disposizioni che riguardano il programma triennale e gli elenchi annuali (con la conseguente allegazione del programma triennale al bilancio di previsione) entrano in vigore dal primo esercizio finanziario successivo al decreto, ovvero dal secondo se la pubblicazione avviene nel secondo semestre dell’anno.

 

Si attira la particolare attenzione sulla circostanza che il comma 10 dell’art. 14 vieta di dare finanziamento, sotto qualsiasi forma, alle opere ed ai lavori non ricompresi nei documenti di programmazione delle opere pubbliche.

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO  IV

 

IL BILANCIO DI PREVISIONE ANNUALE

 

 

 

 

SOMMARIO:1. Il modello;  2. Principi e caratteristiche del bilancio; 3. Struttura del bilancio; 4. Collegamento del bilancio con il risultato degli esercizi precedenti; 5. Quadri riepilogativi; 6. Allegati al bilancio di previsione; 7. Esercizio provvisorio e gestione provvisoria; 8. Termine per la deliberazione del bilancio di previsione; 9. Variazioni al bilancio di previsione.

 

 

3.         Il modello.

           

            Il modello di bilancio di previsione annuale, distinto per tipologia di ente (province, comuni ed unioni di comuni, comunità montane e città metropolitane), è stato approvato con il D.P.R. n. 194 del 1996. Non è modificabile neppure parzialmente.

           

            Fino a quando non si dovrà redigere il documento in Euro, esso dovrà riportare, almeno nei totali generali, i valori in Euro oltre che in lire.

           

           

4.         Principi e caratteristiche del bilancio.

           

            I principi e le caratteristiche del bilancio di previsione si desumono anzitutto dall’art. 55 della legge n. 142 del 1990, che li ha impostati, e poi dagli articoli 4, 6 e 7 del D. Lgs. n. 77 del 1995, che li ha  puntualmente specificati. Questi, insieme alla struttura del bilancio, facilitano la comprensione dell’intero ordinamento.

           

            Nel quadro normativo costituito dalla legge n. 142 del 1990, dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, dal D. Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, dalla legge 25 marzo 1993, n. 81 e dal D. Lgs. n. 77 del 1995 il bilancio, con i suoi principi e caratteristiche, dà concreta attuazione alla distinzione tra indirizzo e controllo da un lato e gestione e relativi risultati dall’altro.

           

            Innovando rispetto alle precedenti disposizioni, la legge n. 142 del 1990 per prima ha posto l’accento sull’assetto programmatico della previsione richiedendo non solo di esplicitare la programmazione in un’apposita relazione, puntualmente definita e formalmente esposta, ma anche di accluderla allo strumento del bilancio annuale di previsione, universalmente riconosciuto come principale. Questa parte della norma, poi ripetuta nell’ultimo periodo del comma 5 dell’art. 7, è sempre di contenuto precettivo, anche se non ha ovviamente avuto dal legislatore una rappresentazione grafica che è lasciata all’iniziativa dei singoli enti. Di conseguenza, un bilancio ben impostato deve correlare nel documento previsionale gli indirizzi strategici in modo da costituire il primo riscontro utile ad attivare le leve di gestione e quindi il controllo in termini di analisi e valutazione degli andamenti e dei risultati.

           

            I principi del bilancio hanno ricevuto un’indicazione nel comma 1 dell’art. 4 del  D. Lgs. n. 77 del 1995 ed un’esaustiva definizione nei successivi commi dal 2 al 6. Va considerato che la riforma non ha sconvolto la precedente impostazione del bilancio, ma ne ha sostanzialmente confermato e meglio definito i criteri classici, espliciti o meno, delle precedenti esperienze normative. Tra gli altri, è rimasto confermato il tradizionale principio finanziario della competenza, mentre è scomparso quello della cassa, anche se le ultime norme sul patto di stabilità interno hanno ridato spazio alle valutazioni di cassa.

           

            Merita un commento l’introduzione, tra gli altri, del principio della veridicità, ovviamente da sempre implicito, ma ora normativamente rilevante. Traspare la particolare attenzione del legislatore non solo nel definirlo, ma poi nel connettervi riscontri metodologici dell’organo di revisione contabile, che tra l’altro deve dare un motivato giudizio sulla sua osservanza ( comma 1, lettera b) dell’art. 105  del D. Lgs. n. 77 del 1995 ).

           

            Va detto che nel recente passato le trasgressioni nella supervalutazione delle entrate e nella sottovalutazione delle spese, entrambe sintomatiche della più generale trasgressione al detto principio, hanno provocato i fenomeni degli avanzi di amministrazione artificialmente gonfiati, ancora non del tutto corretti, e dei debiti fuori bilancio, con le conseguenze, in alcuni casi, di crisi finanziarie e di dissesti in oltre 400 enti locali. Il legislatore ha dovuto intervenire più volte per riportare ordine nel settore.

           

            Sul principio dell’equilibrio della situazione economica, che permane e che è complementare di quello del pareggio finanziario nel più ampio quadro degli equilibri di bilancio, vale la pena di annotare che le risorse definite dal comma 6 nei primi tre titoli dell’entrata, sono state stabilmente incrementate dell’intero importo degli oneri di urbanizzazione (legge 28 gennaio 1997, n. 10). Va conseguentemente posta molta attenzione, nell’utilizzarli, alle esigenze in termini di opere di urbanizzazione, cui essi dovrebbero essere destinati e che, diversamente rimarrebbero prive della naturale fonte di finanziamento.

           

            Tale attenzione va posta, in linea generale, ogniqualvolta siano utilizzate risorse di carattere straordinario ai fini del conseguimento degli equilibri di bilancio. Occorre, infatti, evidenziare il carattere "una tantum" (vale a dire non ricorrente) di tali entrate dal punto di vista quantitativo, il che non autorizza una stabile e consolidata previsione delle stesse nei documenti di programmazione quali entrate certe e, pertanto, utilizzabili.

           

            Le norme ( art. 6, comma 2 del D. Lgs. n. 77 del 1995 ) indicano anche la caratteristica di autorizzatorietà, che è tratto fondamentale della contabilità finanziaria, tradizione degli enti locali. La riforma, nel confermarla, si è dato carico di regolare le connessione con la contabilità economica e le sua esigenze di trasparenza e modernità. L’autorizzatorietà fa discendere la conseguenza del limite agli impegni di spesa, che il legislatore ha inteso garantire puntualmente affidando al servizio finanziario il compito di verificarne l’osservanza  e consentendo, solo dopo, l’ulteriore corso degli atti ( art. 53 della legge n. 142 del 1990). Unica eccezione è costituita dai servizi per conto di terzi, per i quali non rappresenta limite per l’assunzione degli impegni di spesa e quindi in quei casi può essere superato lo stanziamento iscritto. Quindi l’impegno che dovesse essere assunto per importo che superi lo stanziamento deve trovare corrispondente accertamento di entrata, anch’esso superiore alla previsione iscritta, senza incidere in alcun modo sull’equilibrio complessivo del bilancio. Ovviamente, il tipo dei capitoli iscrivibili in questa parte del bilancio è rigidamente predefinita e non è possibile un so ampliamento, quale che sia la motivazione.

           

            Da ultimo, è utile attirare l’attenzione sul collegamento tra bilancio di previsione annuale e gestione degli impegni pluriennali che il legislatore, per rafforzarlo, annovera tra le caratteristiche. Per essa, è imposto che nel bilancio annuale di previsione sia data idonea copertura agli impegni pluriennali assunti negli anni precedenti. L’applicazione dell’art. 27, commi 6 e 7 (come meglio chiarito al capitolo quinto), demanda all’ente, ed in definitiva al suo consiglio, di operare un’attenta azione ricognitiva degli impegni pluriennali assunti e ricadenti nell’anno finanziario cui il bilancio si riferisce per assicurare ( e cioè per confermare ) la copertura con idoneo finanziamento.

             

           

5.            Struttura del bilancio.

 

            Alla struttura  del bilancio di previsione l’ordinamento riserva il suo dettagliato art. 7, nel quale è confermata la precedente impostazione generale di classificazione dell’entrata in sei titoli, secondo la fonte di provenienza, e della spesa in quattro titoli secondo la classificazione economica, compatibile con quella dello Stato. Vi si innestano le nuove unità elementari del bilancio, rispettivamente “ risorsa “  per le entrate ed “ interventi “ per la spesa, in applicazione della novella introdotta dall’art. 55 della legge n. 142 del 1990, che viene appresso commentata.

 

            Ha determinante rilievo, anche per la corretta definizione dei compiti del consiglio, la disposizione del comma 9 dell'art. 7 che prevede, col bilancio, l’automatico affidamento dei mezzi finanziari specificati nei relativi interventi al servizio. Soggiunge la norma che ne risponde il responsabile del servizio. L’affidamento qualifica il compito di quantificazione dei mezzi finanziari, che è riservato al Consiglio. L’affidamento si connette all’altro compito, parimenti importante, della definizione degli indirizzi strategici da osservare e dei programmi da realizzare che sono contenuti nell’apposita relazione, commentata al capitolo III.

 

            Ne consegue che stante l’effetto di quantificazione delle dotazioni e di affidamento delle stesse ai responsabili dei servizi, la genericità, purtroppo diffusa nella redazione della relazione previsionale programmatica, che unica consente di definire obiettivi e programmi, non solo priva il consiglio dell’unico ed indispensabile strumento di esternazione della propria volontà di finalizzazione degli interventi pubblici, ma annulla gli obbligatori riscontri sulla realizzazione degli obiettivi indicati dallo stesso consiglio ( art. 36 del D. Lgs. n. 77 del 1995 ) e vanifica qualsiasi dovuto controllo di gestione.

 

            All’affidamento consegue, quando ricorre, l’operazione effettuata in sede di PEG di dettaglio dell’assegnazione dei mezzi finanziari ai responsabili di risultato di gestione.

 

            Sul piano generale va anche precisato che sulla struttura del bilancio e compatibilmente con le normative dell’ordinamento occorre recepire le norme recate dalla regione di appartenenza per le entrate e le spese relative alle funzione delegate. La norma del comma 12 dell’art. 7 precisa che è indispensabile assicurare, nell’ambito regionale, l’omogeneità delle classificazioni di bilancio e le possibilità dei controlli sulla destinazione dei fondi assegnati.

 

            L’ultima avvertenza attiene ai servizi per conto di terzi, disciplinati dall’art. 10 del D. Lgs. n. 77 del 1995 che hanno sostituito le ambigue partite di giro, fonte di numerosi comportamenti scorretti.

 

            Essi hanno avuto una precisa definizione come servizi che impongono entrate e spese costituenti al tempo stesso un credito ed un debito dell’ente. Sono puntualmente definiti dall'art. 2, comma 8, del D.P.R. n. 194 del 1996 e non sono assolutamente modificabili.

 

            Per la materia dell’iscrizione dell’avanzo o del disavanzo di amministrazione, si rinvia a quanto illustrato al paragrafo  4 del presente capitolo.

 

3.2.      La parte “entrata” del bilancio.

           

            La parte entrata è ordinata come segue:

           

1)         titoli, secondo la fonte di provenienza delle entrate, ossia la natura dell’entrata;

             

2)            categorie, secondo la tipologia delle entrate all’interno della fonte di provenienza;

           

3)         risorse, in base all’oggetto dell’entrata (singoli mezzi finanziari), specificatamente individuato all’interno della categoria di appartenenza. Le risorse non sono definite e sono quindi rimesse alle decisioni dell’ente locale.

           

3.3.      L’unità elementare dell’ “entrata” .

           

            Il primo comma dell’art. 6 del decreto legislativo n. 77 del 1995 definisce le unità elementari del bilancio di previsione. Per l’entrata l’unità elementare è la "risorsa", che è la conseguenza dell’indicazione della classificazione della spesa per interventi, stabilita dall’art.55 della legge n. 142 del 1990. La risorsa individua specificatamente l’oggetto dell’entrata e riguarda la dotazione di mezzi di cui l’ente può disporre al fine di impiegarli nell’esercizio della propria attività.

           

            In linea generale, le risorse sono indistintamente destinate ad essere impiegate nelle diverse attività di competenza dell’ente. Soltanto la legge può disciplinare la destinazione di risorse specifiche a particolari e precisate attività. Si tratta di risorse che individuano entrate aventi vincolo di specifica destinazione stabilito per legge. Per tutte le altre vale il principio dell’unità del bilancio con la destinazione a tutte le spese del bilancio del blocco dell’entrata.

           

            Anche in riferimento ai servizi, definiti dai commi 8 e 9 dell’art. 7 del D. Lgs. n. 77 del 1995, le risorse si possono distinguere tra  "indistinte e generali", se non risultano riferibili a determinati e individuati servizi, o "specifiche e tipiche" se risultano ascrivibili a servizi determinati o determinabili nella struttura organizzativa dell’ente. Si individuano, altresì, le risorse costituite dai "proventi dei servizi" che sono direttamente correlate ai servizi organizzati e resi dall’Ente. Ciò ha determinante rilievo ai fini della programmazione.

           

            La risorsa, quale insieme di mezzi di cui l’ente può disporre costituisce anche scopo e fine dell’attività dell’ente rivolta all’acquisizione degli stessi. È quindi oggetto e misura della responsabilità gestionale nei servizi (risorse specifiche e proventi dei servizi) e in funzione di supporto (risorse generali). A questo riguardo basti ricordare l’art. 3, comma 4 del D. Lgs. n. 77 del 1995, in base al quale il responsabile del servizio finanziario è preposto alla verifica di veridicità delle previsioni di entrata, avanzate dai vari servizi, ed il successivo art. 23, secondo il quale il responsabile del procedimento che accerta l’entrata trasmette al responsabile del servizio finanziario l’idonea documentazione che deve costituire titolo per la rilevazione contabile dell’accertamento.

           

            Quindi, sulle risorse si manifesta una responsabilità diretta di tipo gestionale da parte del responsabile del procedimento individuato nel servizio interessato e una responsabilità di verifica, controllo e rilevazione in funzione di supporto da parte del responsabile del servizio finanziario.

           

           

3.4.      La parte “spesa” del bilancio.

           

            La parte spesa del bilancio è quella che presenta le maggiori innovazioni di struttura e di contenuto.

           

            È ordinata gradualmente in titoli, funzioni, servizi e interventi.

           

            I titoli  aggregano le spese in base alla loro natura e destinazione economica e sono definiti dal comma 6 dell’art 7 del D. Lgs. n. 77 del 1995.

           

                        Le  funzioni  ed i servizi  sono commentati ai paragrafi successivi.

           

3.5.      Le funzioni.

           

            Le funzioni individuano in modo più articolato le spese in relazione alla tipologia delle attività espletate dall’ente locale. È importante, a questo riguardo, fare riferimento al concetto di attività, cioè all’oggettivo esercizio di operazioni da parte delle articolazioni organizzative dell’ente a cui le stesse sono affidate per l’ottenimento di risultati. Non si tratta di analisi funzionale su base finanziaria, ma di individuazione di "cosa fare", per quali finalità e scopi e con quali strumenti e mezzi.

           

            Le funzioni considerate nella struttura di bilancio, distinte per tipologia di ente, sono stabilite  dal D.P.R. n. 194 del 1996. L'articolazione della parte spesa del bilancio nelle funzioni così individuate non è derogabile o modificabile da parte degli enti locali.

           

            Con il bilancio e i suoi allegati sono individuate tutte le attività che l’ente prevede di svolgere nel periodo di riferimento: su di esse sono espresse le competenze degli organi di governo in termini di indirizzo e di controllo e le competenze dei responsabili gestionali in termini di svolgimento concreto delle attività e di risultato.

           

            Il concetto di funzione si differenzia da quello di attività che viene inteso come possibile modalità di assolvimento della funzione. L’attività è considerata come contenuto concreto dato all’esercizio di una funzione riferita alla programmazione annuale e pluriennale realizzata con il bilancio.

           

           

3.6.      Il servizio.

           

            Il concetto di servizio, rappresenta punto focale e vero snodo nevralgico nella innovata struttura del bilancio. La sua istituzione é direttamente prevista dall’art. 55 della legge n. 142 del 1990.

           

            I servizi sono determinati dal D.P.R. n. 194 del 1996 e non sono modificabili, salvo per la facoltà concessa (dall'art. 2, comma 7, del medesimo D.P.R. n. 194 del 1996) ai comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti ed alle comunità montane di utilizzare il "servizio prevalente", vale a dire individuare nell'ambito di ciascuna funzione un servizio che abbia carattere di prevalenza nello svolgimento delle attività riferibili alla funzione stessa ed iscrivere gli stanziamenti di spesa relativi alla funzione nei soli interventi di quel servizio. Ciò consente agli enti di evitare frammentazioni di stanziamenti nei casi di funzioni di scarso rilievo finanziario.

           

            Per servizio si può intendere sia il reparto organizzativo semplice o complesso composto di persone e mezzi per l’articolazione di un’area organizzativa dell’ente, sia le attività che vi fanno capo per l’esercizio di parte di una funzione propria dello stesso ente deputata all’erogazione di prestazioni ai cittadini (funzioni finali) ovvero a fini interni di supporto e di strumentalità (funzioni strumentali e di supporto).

           

            Il concetto di servizio consente di misurare gli effetti economici delle decisioni dei responsabili delle singole unità organizzative elementari e costituisce quindi la base dei sistemi di controllo direzionale.

           

            L’art. 7 del D. Lgs. n. 77 del 1995 introduce e definisce il servizio al comma 8 nei seguenti termini :

           

1)         a ciascun servizio è correlato un reparto organizzativo dell’ente;

             

2)         il reparto organizzativo può essere semplice o complesso. Nel caso semplice il reparto organizzativo può essere individuato anche quale centro di costo e/o di provento, o di entrata. Nel caso complesso il reparto organizzativo è distinto in sotto-ordinati centri di costo, che devono avere la stessa configurazione e gli stessi elementi essenziali costitutivi del servizio: individuazione del responsabile e delle risorse. L’individuazione dei centri di costo è lasciata alle autonome scelte organizzative dell’ente, così come l’individuazione dei responsabili principali ed eventualmente sotto-ordinati;

           

3)         il servizio è composto di persone e mezzi che devono consentire l’esercizio di un’attività quale contenuto di una funzione dell’ente;

           

4)         al servizio è preposto un responsabile: cioè è riferibile ad un soggetto determinato, cui sono attribuiti poteri, quote del bilancio e obbligo di dimostrazione di risultati. Può essere possibile che ad un responsabile facciano capo più servizi, così come si possono individuare responsabili diversi sotto-ordinati all’interno di un servizio, come già detto.

           

            Il comma 9 dell’art. 7 completa la definizione di servizio, prevedendo che a ciascun servizio è affidato, con il bilancio di previsione, un complesso di mezzi finanziari. Quindi il responsabile riceve in «consegna» dotazioni finanziarie che si affiancano alle persone e ai mezzi che costituiscono la struttura organizzativa e operativa del servizio stesso per completare e perfezionare la propria capacità di svolgere attività sia rivolte all’erogazione di prestazioni ai cittadini (funzioni finali), sia di supporto e strumentali, sia di coordinamento. E’ auspicabile che al servizio sia affidata la gestione dell’entrata e del patrimonio. In questo modo il servizio si incardina nella mappa delle responsabilità gestionali dell’ente: sia per l’acquisizione delle risorse, se ad esso riferibili, sia per l’impiego dei mezzi finanziari affidati in dotazione, sia per la gestione del patrimonio a esso riferibile in termini di attività e passività.

           

3.7.      L’unità elementare della “spesa”.

           

            L’introduzione della lettura del bilancio per programmi, servizi e interventi, voluta dal legislatore della legge n. 142 del 1990, ha indicato tale ultimo termine come specificazione obbligatoria del bilancio stesso e rappresenta una novità di grande rilievo.

             

            Al fine di dare un senso concreto alla specificazione voluta dal legislatore, riferita sia alla spesa corrente sia a quella in conto capitale, il legislatore ha accolto la tesi che l’intervento serva a contraddistinguere "la tipologia e l’uso dei fattori produttivi, nel senso che a ciascuno di essi ne corrisponde un tipo" sia caratteristico che non. Trattasi di dare alla locuzione "intervento" un significato strettamente strumentale, ossia di elemento o mezzo per il raggiungimento del fine del servizio. Gli interventi sono specificati nel D.P.R. n. 194 del 1996 e non sono assolutamente modificabili.

           

            In questo modo si possono individuare i vari tipi di intervento quali fattori produttivi particolarmente utili ai fini della valutazione economica dei fatti di gestione.

           

            I tipi di intervento servono per specificare, qualificare e individuare le dotazioni finanziarie costituenti parte del complessivo budget del servizio. All’interno di quest’ultimo si combinano e si utilizzano i fattori assegnati con gradi di libertà che devono esaltare il principio dell’efficienza gestionale e attivare la responsabilità del soggetto che risponde dell’attività svolta dal servizio.

           

            L’introduzione dei fattori produttivi e l’impiego degli stessi consente di evidenziare centri di responsabilità verticali all’interno di ogni servizio e centri di responsabilità orizzontali (personale globalmente considerato, acquisti per la generalità dei servizi, interessi passivi e così di seguito).

           

            L’introduzione del concetto di fattore produttivo è un passo fondamentale per realizzare chiarezza a livello di responsabilità organizzative e responsabilità economiche. Questa è la ragione di fondo che rende necessaria la scelta di una nozione generalizzata per il termine intervento, estesa a tutto il piano di attività ricompreso nel bilancio e che non lascia spazio a soluzioni di tipo parziale.

           

            All’interno di ogni area o funzione devono potersi esprimere le previsioni solo in relazione ai servizi e, per ciascuno di essi, ai tipi di intervento, onde poter costituire in capo a ciascuno di essi le responsabilità del preposto budget di risorse assegnate e da amministrare.

           

            L’art. 7, al comma 5 del D. Lgs. n. 77 del 1995, al comma 5, fornisce come segue la definizione dell'intervento: ".. natura economica dei fattori produttivi nell’ambito di ciascun servizio..".

           

            Si determina così un sistema informativo contabile per centri di responsabilità (servizi) che utilizzano fattori produttivi, e cioè una modalità di aggregazione delle quantità economiche che considera la distribuzione delle responsabilità organizzative. La contabilità per centri di responsabilità è indirizzata a collegare le responsabilità sull’impiego delle risorse e sulle prestazioni erogate alle responsabilità formali proprie dell’organizzazione.

           

            Se l’intervento è indicativo della natura economica dei fattori produttivi nell’ambito di ciascun servizio ne deriva che il sistema informativo contabile non può limitarsi a fornire il dato su base finanziaria descrittiva dell’impiego e dei risultati che dall’uso del fattore derivano per l’ente. E’ indispensabile affiancare all’insieme delle informazioni su base finanziaria (che affluiscono al conto del bilancio) anche le valutazioni economiche (che affluiscono al conto economico) e patrimoniali (che affluiscono al conto del patrimonio).

           

            Trattando della struttura del bilancio si sono incontrati principi e norme che estendono la loro valenza all’intero quadro dell’ordinamento sino alla rilevazione dei risultati passando per i processi di gestione. Ma la definizione di centro di responsabilità applicata al servizio non sarebbe completa se a esso non fosse possibile imputare attività e responsabilità nell’acquisizione delle risorse specifiche del servizio e nella gestione del patrimonio. In questo modo il servizio assume la sua definitiva configurazione che collega la responsabilità organizzativa con la responsabilità economica.

           

3.8.            Previsioni dei singoli interventi.

           

            I primi otto tipi di intervento stabiliti dall’art.2 del D.P.R. n. 194 del 1996 per tutti i servizi ( dal personale agli oneri straordinari della gestione corrente ) non risulta presentino, al momento, particolari problemi di quantificazione dei relativi stanziamenti.

           

            All’atto del passaggio all’attuale ordinamento erano sorte talune complicazioni per la necessità di aggregare alcuni capitoli o di scinderne altri, come quelli per acquisti di beni e servizi, a suo tempo fusi in un’unica voce. Ma successivamente i problemi erano stati superati con le prime variazioni di bilancio.

           

            In effetti, per questi otto interventi una novità, peraltro marginale, era costituita solo dal trasferimento alle spese in conto capitale dell’acquisto di beni mobili, prima anomalamente compreso tra le spese correnti.

           

            Il solo intervento inusuale relativo agli oneri straordinari della gestione corrente ha consentito, più degli altri,  una corretta definizione e separazione delle necessità non ordinarie.

           

            Una valutazione separata va fatta, però, per il nono intervento relativo agli ammortamenti di esercizio e collocato anch’esso in ogni servizio. Esso rappresenta, con il fondo svalutazione crediti, appresso illustrato, una delle due rilevanti novità del D.Lgs. n. 77 del 1995 e del relativo decreto applicativo.

           

            Senza tema di smentite si può affermare che questa novità è stata la più criticata, specie da coloro che ritenevano di non dover rispettare vincoli nelle previsioni di bilancio e si dolevano del necessario e pur modesto accantonamento da effettuare per il solo primo anno. Per alcuni versi non è ancora del tutto dimenticata la precedente esperienza che molto inopportunamente consentiva che l’operazione di ammortamento, uno dei  pilastri della contabilità economica, si risolvesse in un modo del tutto figurativo e spesso irrealistico.

           

            In questa materia, il legislatore è annualmente intervenuto per rinviarne l’applicazione, da ultimo all’anno 2000.

           

            Va considerato che il legislatore delegato, dovendo attenersi alle indicazioni della legge di delega e della legge n. 142 del 1990, che disponevano l’inserimento di una contabilità economica, ha applicato l’unico sistema possibile e compatibile con i principi generali e con la contabilità economica. L’ammortamento è una   caratteristica  fondamentale  di questo tipo di contabilità, che ha come suo fine principale la corretta definizione del risultato di esercizio per la quale deve collocare in ogni periodo temporale i componenti di ricavo e di costo.  Esso consiste nella ripartizione del costo di un bene, come fattore pluriennale, negli esercizi nei quali detto fattore trova economica utilizzazione.

           

            Le società commerciali, che lo applicano a fine d’anno, valutando con precisi parametri stabiliti per legge le relative quote, formano così preziose riserve di autofinanziamento, utili alla ricostituzione e rinnovazione dei beni.

           

            Con la descritta novità anche gli enti locali possono accantonare quote di risorse annuali, determinate anche in questo caso con precisi parametri, ed averne disponibilità dall’esercizio successivo per sostituire, rinnovare a manutenere propri beni. Che l’innovazione sia necessaria, oltre che concettualmente corretta, lo dimostra lo stato in cui versa notevole parte del demanio e del patrimonio degli enti locali.

           

            Tecnicamente l’art. 71 del D.Lgs. n. 77 del 1995 definisce con precisione le quote di ammortamento da indicare nel conto economico ed il successivo art. 117 prescrive la quantificazione della parte di tale ammortamento da accantonare finanziariamente in bilancio.

           

            Nell’anno di competenza gli stanziamenti non consentono impegni e perciò le somme confluiscono nel risultato di amministrazione per trovare dall’anno successivo la propria destinazione.

           

             I due ultimi interventi delle spese correnti, il fondo di svalutazione crediti ed il fondo di riserva, sono previsti solo per il servizio "altri servizi generali" della funzione generale di amministrazione, di gestione e di controllo.

           

            Il primo di essi, il fondo di svalutazione crediti, ha la funzione di compensare eventuali minori entrate derivanti da crediti divenuti parzialmente o totalmente inesigibili (crediti per i quali è certo il titolo giuridico ma è divenuta impossibile la riscossione per condizioni oggettive), al fine di preservare l'ente da possibili squilibri. Per quanto attiene l'utilizzo del fondo va precisato che lo stesso non va impegnato, confluendo in tal modo, a fine esercizio, nel risultato di amministrazione quale fondo vincolato.

           

            Il secondo, il fondo di riserva, ripete concettualmente la previsione e le finalità di appositi stanziamenti già previsti dall'ordinamento precedente (il D.P.R. n. 421 del 1979), finalizzati a soddisfare esigenze straordinarie di bilancio o, comunque, affrontare situazioni di insufficienza delle dotazioni di spesa corrente. La disciplina positiva è recata dall'art. 8 del decreto legislativo n. 77 del 1995, il quale prevede che l'ammontare complessivo sia compreso tra lo 0,30 % ed il 2 % del totale delle spese correnti inizialmente previste in bilancio. L'utilizzazione è disposta con provvedimenti dell'organo esecutivo da comunicare all'organo consiliare nei tempi stabiliti dal regolamento di contabilità.

           

            Anche per le spese in conto capitale il D.Lgs. n. 77 del 1995 ha recato novità con una serie obbligatoria di dieci tipi di interventi , molto più precisi di quelli utilizzati con la prassi di un solo stanziamento per ogni opera o acquisizione.

           

            In effetti, le distinzioni oggi previste sono poche ed essenziali. Ad esempio, per un’opera pubblica, costituente un’evenienza complessa, l’attuale impostazione prevede solo tre interventi: acquisizioni di beni immobili, espropri ed incarichi professionali esterni. Le difficoltà, che a volte sono segnalate sul presunto eccessivo frazionamento delle previsioni non sembra sussistano, soprattutto se i quadri economici delle opere sono correttamente impostati.

           

            Da ultimo, va ricordato che per i comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti e per le comunità montane l’art. 2, comma 7, del D.P.R. n. 194 del 1996 consente di iscrivere gli stanziamenti nel sevizio che abbia carattere di prevalenza nello svolgimento delle attività. Questa semplificazione va applicata senza remore dagli enti destinatari della norma, costituendo, insieme al raggruppamento degli stanziamenti negli interventi uno snellimento notevole negli adempimenti amministrativi.

           

3.9.      Funzioni delegate dalle regioni.

           

            Il comma 12 dell’art. 7 del D. Lgs. n. 77 del 1995 stabilisce che i bilanci di previsione degli enti locali recepiscono ai sensi dell’art. 11, comma 3, della legge 19 maggio 1976, n. 335 le norme recate dalle leggi delle rispettive regioni di appartenenza per quanto concerne le entrate e le spese relative a funzioni delegate. Il recepimento avviene però per quanto non contrasta con la normativa del D. Lgs. n. 77 del 1995.

           

            L’art. 11, comma 3, della legge 19 maggio 1976, n. 335 (Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni ) prevede che la legge regionale detti norme per la classificazione nei bilanci degli enti locali, delle entrate e delle spese relative a funzioni a essi delegate dalla regione, assicurando la possibilità del controllo regionale sulla destinazione dei fondi “... e l’omogeneità delle classificazioni di dette spese nei medesimi bilanci rispetto a quelle contenute nel bilancio regionale”.

           

            Le finalità del recepimento della normativa regionale sono esplicitamente indicati per:

           

1)            consentire la possibilità del controllo regionale sulla destinazione dei fondi assegnati agli enti locali;

             

2)            consentire l’omogeneità delle classificazioni di dette spese nei bilanci di previsione degli enti rispetto a quelle contenute nei rispettivi bilanci di previsione regionali.

           

            In ogni caso le entrate e le spese per le funzioni delegate dalle regioni non possono essere collocate tra i servizi per conto di terzi trattandosi di destinazione di fondi assegnati all’ente per lo svolgimento di funzioni determinate dalla legislazione regionale che fanno parte integrante del programma di attività che l’ente approva con il proprio bilancio di previsione. Nell’ambito del bilancio approvato dal Consiglio la diversa struttura del bilancio degli enti locali rispetto a quello approvato dalla regione non consente di stabilire una immediata omogeneità delle classificazioni delle spese.

           

            Nel modello di bilancio per fini di sintesi è compreso un prospetto riepilogativo denominato “Funzioni delegate dalla Regione, Quadro analitico per funzioni, servizi e interventi, delle spese per funzioni delegate dalla Regione da predisporre secondo le norme regionali (art.7, comma 12, D. Lgs. n. 77 del 1995)".

           

           

            4.             Collegamento del bilancio con il risultato degli esercizi precedenti.

           

            Tra le caratteristiche del bilancio di previsione è stata confermata quella di essere un bilancio finanziario di competenza “ mista “ per effetto della possibilità ( o obbligo ) di connettervi il risultato di amministrazione degli esercizi precedenti, consentito dall’art. 7, comma 11 del  D. Lgs. n. 77 del 1995, che rinvia, per le modalità, agli articoli 31 e 32 disciplinanti i due diversi tipi di risultato : avanzo e disavanzo. Le disposizioni del primo dei due articoli sono state più volte modificate.

           

            L’applicazione concreta risulta essere stata alquanto controversa, con varie e contrastanti decisioni dei comitati di controllo, anche per via dell’usuale e consentita deliberazione dei bilanci nel corso dell’esercizio al quale si riferiscono.

           

            E’ quindi indispensabile, per una corretta impostazione del problema considerare solo il caso, da ritenere ormai definitivo, della deliberazione in epoca antecedente al 31 dicembre, come del resto è stabilito dall’art. 55 della legge n. 142 del 1990, nel testo di recente modificato.

           

            Anzitutto va rilevato che il risultato di amministrazione, da considerare per ogni effetto di legge, salvo  deroghe di legge, è quello accertato con l’approvazione del rendiconto della gestione, come dispone l’art. 30.

           

            Esso può essere utilizzato, con l’iscrizione in bilancio di cui al comma 11 dell’art. 7 del D. Lgs. n. 77 del 1995, per le destinazioni espressamente indicate al comma 2 del successivo art. 31. Ne consegue che in sede di predisposizione del bilancio di previsione può essere iscritto solo l’avanzo dell’anno precedente, perché solo quello può essere stato accertato.

           

            L’obiezione, mossa da taluni commentatori per sostenere diversa soluzione, che i risultati complessivi dell’esercizio chiuso possano essere stati modificati o addirittura sovvertiti durante l’esercizio ad esso  successivo è valida. L’operatore locale, che ben conosce questa circostanza o che può agevolmente conoscerla con facili calcoli, ha il dovere di tenerne conto e di evitare quindi che avanzi non più esistenti siano iscritti in bilancio.

           

            Ciò non toglie che durante l’esercizio, e cioè dopo il 1° gennaio dell’anno relativo al bilancio di previsione possa essere fatto uso della facoltà indicata al comma 3 di stanziare, a meri fini contabili e quindi con riserva di realizzazione, l’avanzo presunto di amministrazione dell’esercizio immediatamente precedente, che non può essere stato accertato, ma beninteso solo per le limitate destinazioni indicate dalla norma, salvo le eccezioni ivi previste.

           

            L’utilizzazione dell’avanzo di amministrazione è regolato dall’art. 31 del D.Lgs. n. 77 del 1995 (comma 2). Sono ivi indicati come segue le quattro destinazioni dell’avanzo:

           

            1) per il reinvestimento delle quote accantonate per ammortamento. Nel caso in cui l’avanzo non sia sufficiente, occorre che in sede di previsione sia compreso nelle spese un importo pari alla differenza;

           

            2) per la copertura dei debiti fuori bilancio riconoscibili a norma dell’art. 37 dello stesso D.Lgs;

           

            3) per i provvedimenti per la salvaguardia degli equilibri di bilancio di cui all’art. 36 dello stesso D.Lgs. ove non possa provvedersi con mezzi ordinari, per il finanziamento delle spese di funzionamento non ripetitive in qualsiasi periodo dell’esercizio e per altre spese correnti in sede di assestamento;

           

            4) per il finanziamento di spese di investimento.

           

            Le predette destinazioni non comportano assolutamente una scala di priorità (ovviamente nel rispetto dei fondi vincolati) e di conseguenza a ciascuna delle varie ipotesi si può far ricorso anche senza che sia prima stata verificata la non ricorrenza delle altre ipotesi o le stesse siano state applicate.

           

           

            5. Quadri riepilogativi

           

            Il D.P.R. 31 gennaio 1996, n. 194 ha stabilito che tra i modelli di bilancio di previsione di province, unioni di comuni e comuni ve ne sia uno definito “quadro generale riassuntivo”, che riepiloga le previsioni dei vari titoli di entrata e di spesa ed un altro definito “risultati differenziali” che dimostra come segue i principali equilibri di bilancio:

           

            A) Equilibrio economico-finanziario

           

                Entrate Titolo I – II – III              (+)            £.

           

                Spese correnti                           (-)            £.

                                                                        _______________

                                    Differenza                                £.

           

                Quote di capitale amm.to mutui            (-)            £.

                                                                                    _______________

                                    Differenza *                              £.

                                                                                    ===========

           

           

            B) Equilibrio finale

           

                Entrate finali

                (av. + titoli I + II + III + IV)                       (+)            £.

           

                Spese finali (dis. + titoli I e II)            (-)            £.

                                                                                    ______________

                Saldo netto      Finanziare            (-)                    £.

                                      Impiegare            (+)                   £.

           

           

            Nel caso in cui la suddetta differenza, contrassegnata da asterisco, si presenti negativa, in conseguenza di spese previste per importo complessivamente maggiore delle entrate, lo stesso modello prevede come segue l’indicazione del relativo finanziamento:

           

            *          La differenza di £. ………………………………. è finanziata con:

           

            1) mutuo per debiti fuori bilancio                             £.

           

            2) avanzo di amministrazione per debiti fuori bilancio £.

           

            L’indicazione, tuttavia, non è esaustiva per l’espandersi dei casi di finanziamento di spese correnti con risorse diverse da quelle tradizionali dei primi tre titoli di bilancio.

           

            Si aggiungono, a quelli del modello, i seguenti, che vanno comunque evidenziati:

           

3)            finanziamento di spese correnti per manutenzione ordinaria del patrimonio comunale con i proventi delle concessioni e delle sanzioni edilizie di cui alla legge 28 gennaio 1977, n. 10 e successive modificazioni (Cfr. da ultimo art. 49, comma 7, della legge 27 dicembre 1997, n. 449);

           

4)            finanziamento con mutuo delle spese per ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto pubblico locale e per l’attribuzione di contributi a fronte di contratti di servizio (Cfr. decreto-legge 1 aprile 1995, n. 98, convertito nella legge 30 maggio 1995, n. 204 e successive modificazioni);

           

5)            finanziamento con avanzo di amministrazione delle spese di funzionamento non ripetitive (Cfr. art. 31, comma 2 lettera c) del D.Lgs. n. 77 del 1995 nel testo sostituito dall’art. 20, comma 2 del D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 342;

           

6)            finanziamento con alienazione di beni patrimoniali disponibili di spese correnti rivelatesi pregiudizievoli degli equilibri di bilancio, in sede di verifica annuale al 30 settembre (Cfr. art. 36 del D.Lgs. n. 77 del 1995, nel testo modificato da ultimo con l’art. 4 del D.Lgs. 23 ottobre 1998, n. 410).

           

           

            6. Allegati  al bilancio di previsione

           

            L’art. 14 del D. Lgs. n. 77 del 1995 dispone che al bilancio di previsione, oltre alla relazione previsionale e programmatica ed al bilancio pluriennale, commentati in altra parte, siano allegati:

           

4.         il rendiconto deliberato dal penultimo esercizio antecedente quello cui si riferisce il bilancio di previsione, quale documento necessario per il controllo da parte del competente organo regionale;

             

5.         le risultanze dei rendiconti o conti consolidati delle unioni di comuni, aziende speciali, consorzi, istituzioni, società di capitali costituite per l’esercizio di servizi pubblici, relativi al penultimo esercizio antecedente quello cui il bilancio si riferisce; tali risultanze sono utili per il consolidamento dei conti e per la verifica dei rapporti finanziari tra l’ente e gli organismi esterni anche ai fini del rispetto del principio di equilibrio del bilancio degli stessi (Art. 23 – legge  n. 142 del 1990);

           

6.         la deliberazione, da adottarsi annualmente prima dell’approvazione del bilancio, con la quale i comuni verificano la quantità e qualità di aree e fabbricati da destinarsi alla residenza, all’attività produttive e terziarie – ai sensi delle leggi 18 aprile 1962, n. 167, 22 ottobre 1971, n. 865 e 5 agosto 1978, n. 457 – che potranno essere ceduti in proprietà od in diritto di superficie. Con la stessa deliberazione i comuni stabiliscono il prezzo di cessione per ciascun tipo di area o di fabbricato;

           

7.         il programma triennale dei lavori pubblici di cui all’art. 11 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni. Tale programma va formulato sulla base degli schemi tipo che saranno definiti con decreto del Ministro dei lavori pubblici;

           

8.         le deliberazioni con le quali sono determinati, per l’esercizio successivo, le tariffe, le aliquote d’imposta e le eventuali maggiori detrazioni, le variazioni dei limiti di reddito per i tributi locali e per i servizi locali, nonché, per i servizi a domanda individuale, i tassi di copertura in percentuale del costo di gestione dei servizi stessi; si rammenta che l’art. 54 del D.Lgs 15 dicembre 1997, n. 446, prevede che le province ed i comuni approvano le tariffe e i prezzi pubblici ai fini dell’approvazione del bilancio di previsione;

           

            6)            la tabella relativa ai parametri di riscontro della situazione di deficitarietà strutturale prevista dal decreto ministeriale 6 maggio 1999, n. 227; l’inserimento di tale tabella negli allegati al bilancio di previsione introduce gli “indicatori” nella predisposizione del piano previsionale e quindi rappresenta la volontà espressa dal legislatore di impiegare tale importante strumento conoscitivo e di controllo, ad iniziare dalla fase previsionale, per continuare nella gestione sino alla rendicontazione.           

           

           

            7.  Esercizio provvisorio e gestione provvisoria.

           

                        L’art. 5 del D. Lgs. n. 77 del 1995, conservando l’istituto dell’esercizio provvisorio nella sua migliore definizione, ha stabilito che l’ente adempiente all’obbligo della deliberazione del bilancio abbia lo stesso trattamento del Governo nazionale e possa quindi esercitare le sue funzioni nei limiti stabiliti dal bilancio approvato.

           

                        L’esercizio provvisorio ha la durata massima di due mesi e consente , per ciascuno di essi impegni di spesa pari ad un dodicesimo degli importi previsti nel bilancio deliberato, salvo le spese tassativamente regolate dalla legge e non suscettibili di pagamenti frazionati per dodicesimi.

           

                        Ma occorre ed è determinante, la deliberazione del Consiglio.

           

                        Questa facoltà è attivabile anche nel caso di proroga del termine di deliberazione del bilancio, per tutta la durata del rinvio.

           

                        Lo stesso art. 5, conservando la norma precedente, si è preoccupato del caso, da considerarsi sempre più anomalo, degli enti che non deliberano in tempo il bilancio di previsione. In questo caso l’art. 5 consente di procedere ad una gestione, definita provvisoria, commisurata per ogni mese ad un dodicesimo degli stanziamenti di spesa dell’ultimo bilancio approvato.

           

            Durante la gestione provvisoria é possibile far fronte alle obbligazioni già assunte, alle obbligazioni derivanti da provvedimenti giurisdizionali esecutivi e ad obblighi speciali tassativamente regolati dalla legge. E’ anche possibile pagare le spese di personale, i residui passivi, le rate di mutuo, i canoni, le imposte, le tasse. E’ anche possibile effettuare le operazioni necessarie per evitare che siano arrecati danni patrimoniali certi e gravi all’ente.

           

           

           

           

           

           

           

            8. Termine per la deliberazione del bilancio di previsione.

           

            Il termine per la deliberazione del bilancio è stabilito dall’art. 55 della legge n. 142 del 1990, che originariamente prevedeva il 31 ottobre dell’anno precedente.

           

            Ora, l’art.  13 della legge 3 agosto 1999, n. 265, modificando il citato art. 55, lo ha spostato al 31 dicembre, nell’evidente constatazione della permanente necessità, per gli enti locali, di dover tenere conto nella predisposizione dei propri bilanci delle indicazione della legge finanziaria dello Stato.

           

            Il medesimo art. 55 prevede che l'eventuale differimento del termine, in presenza di motivate esigenze, sia disposto con decreto del Ministro dell'interno, d'intesa con il Ministro del tesoro e sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

           

            A tal proposito vale la raccomandazione di fare in modo che non si arrivi mai all’ultimo giorno utile, perché l’esercizio provvisorio che occorre deliberare impone sempre limitati poteri. Addirittura conviene che si deliberi il più anticipatamente possibile per avere prima la pienezza dei poteri di gestione.

           

            Per gli enti locali,  il legislatore ha sempre avuto particolare attenzione nel caso in cui non sia  deliberato il bilancio di previsione e si debbano assicurare i servizi. L’art. 5 del D. Lgs. n. 77 del 1995 prevede che prima della deliberazione del bilancio impone una drastica riduzione dei poteri di gestione, che vengono ammessi solo per le materie appresso indicate e che vengono contingentati sulla base del bilancio dell’ultimo bilancio approvato. Le materie ammesse durante la gestione provvisoria sono le seguenti:

           

1)            assolvimento di obbligazioni già assunte e adempimento di obbligazioni derivanti da provvedimenti giurisdizionali esecutivi;

             

2)         obblighi speciali tassativamente regolati dalla legge;

           

3)            pagamento di spese di personale;

           

4)            pagamento di residui passivi;

           

5)            pagamento di rate mutuo, di canoni di imposte e di tasse;

           

6)            pagamento di spese per operazioni necessarie per evitare che siano arrecati danni patrimoniali e gravi all’ente.

           

           

            9. Variazioni al bilancio di previsione.

           

                        La materia delle variazioni di bilancio è trattata dal D.Lgs. n. 77 del 1995 nell’art. 17.

           

                        La relativa norma esordisce riaffermando la competenza consiliare ed il termine ultimo del 30 novembre di ciascun anno. Consente però, ed è l’ultimo caso residuo dall’antica tradizione, che le variazioni possono essere disposte anche, in via d’urgenza, dall’organo esecutivo. Ma in questo caso è prescritta la ratifica da adottarsi dal Consiglio entro i successivi sessanta giorni e comunque entro la fine dell’anno in corso. In questo caso è indubbio che non ricorra l’ipotesi di controllo di legittimità da parte del CO.RE.CO..

           

                        In caso di mancata  ratifica, il Consiglio deve adottare, entro l’ulteriore termine di trenta giorni e comunque entro il 31 dicembre dell'esercizio in corso, idonei provvedimenti per regolare i rapporti eventualmente sorti sulla base della deliberazione non ratificata. A questa fattispecie va assimilata l’altra relativa all’annullamento, da parte dei CO.RE.CO. della deliberazione di ratifica. Ciò in quanto, esso fa venire meno l’efficacia della stessa, verificandosi, in tal modo, la condizione prevista dall’art. 17 del D.Lgs. n. 77 del 1995.

           

                        La facoltà di variazioni da parte dell’organo esecutivo pone due questioni: una procedurale sul parere dell’organo di revisione ed una di responsabilità per il caso di mancata ratifica.

           

                        La prima questione va risolta nel senso di ritenere che il parere vada espresso sulla proposta di deliberazione di giunta, in quanto essa esercita un potere proprio del Consiglio, in materia assai delicata. Non può ritenersi corretto pretendere che il parere sia dato al Consiglio in via postuma su tutto il procedimento, proprio per l’obbligo di collaborazione che l’organo di revisione ha verso lo stesso Consiglio e che è doppiamente importante quando altri ne esercitano i poteri.

           

                        La seconda questione è molto più complessa. Pur essendo incontrovertibile il carattere imperativo della norma che  impone al Consiglio una valutazione ed una decisione sui rapporti sorti sulla base della deliberazione di giunta non ratificata, rimane sempre discrezionale l’apprezzamento del Consiglio nel merito. La legge definisce i provvedimenti relativi come “ ritenuti necessari “: locuzione che lascia aperta un’ampia discrezionalità.

           

                        Ne consegue che nel caso di mancata ratifica e di mancata definizione dei rapporti precariamente sorti, gli oneri relativi non possono trovare posto nel rendiconto della gestione, con ogni conseguenza relativa.

           

 

           

           

           

           

           

           

            CAPITOLO V

           

            IL BILANCIO PLURIENNALE

           

           

           

           

            SOMMARIO:1. Il modello; 2. Caratteristiche e finalità del bilancio pluriennale; 3. Carattere autorizzatorio del bilancio pluriennale; 4. Struttura del Bilancio pluriennale; 5. Durata del bilancio pluriennale; 6. Il bilancio pluriennale è scorrevole; 7. Variazioni del bilancio pluriennale.

           

           

1.         Il modello .

           

            I modelli del bilancio pluriennale, distinti per tipologia di ente (province, comuni, unioni di comuni, città metropolitane e comunità montane), sono stati approvati con il D.P.R. n. 194 del 1996. L’art. 13 del D. Lgs. n. 77 del 1995 che lo disciplina è incluso tra quelli  che secondo l’art. 108 è da considerarsi tra i “principi generali con valore di limite inderogabile”

           

            Tuttavia, tale affermazione sembra essere contraddetta dall'art. 9, comma 5, della legge n. 127 del 1997, il quale prevede il carattere meramente facoltativo del modello di bilancio pluriennale. Per dovere di chiarezza sul punto, giova sottolineare che la disposizione è frutto di un refuso legislativo, intervenuto a causa di modifiche legislative non considerate al momento dell'approvazione della legge n. 127 del 1997.

           

            Risulta evidente che la "facoltà" non va riferita al bilancio pluriennale, in quanto la sua adozione è obbligatoria per legge, bensì va riferita al modello. E’ da intendersi, quindi, in ossequio alla legge, che esista  la possibilità di modificare i modelli del bilancio pluriennale con il regolamento di contabilità di ciascun ente, nel caso in cui si prevedano soluzioni diverse. Devono, comunque, essere rispettati i principi di cui all’art. 13 del D. Lgs. n. 77 del 1995.

           

            In relazione all’avvertenza fatta per la relazione previsione e programmatica (cfr. sub paragrafo n. 4.6 del capitolo III), occorre che il complesso delle indicazioni del bilancio pluriennale coincida con quello della relazione previsionale e programmatica, semmai inserendo apposito quadro generale.

           

            Fino a quando non si dovrà redigere il documento in Euro, esso dovrà riportare, almeno nei totali generali, i valori in Euro oltre che in lire.

           

           

            2. Caratteristiche e finalità del bilancio pluriennale.

           

            L’art. 55 della legge  n. 142 del 1990 dispone che “il bilancio è corredato di una relazione previsionale e programmatica e di un bilancio pluriennale”. L’art. 13 del D. Lgs. n. 77 del 1995, dispone che gli enti locali “allegano al bilancio annuale di previsione un bilancio pluriennale …”. Una lettura superficiale delle norme succitate potrebbe indurre a ritenere che il bilancio pluriennale abbia una importanza ridotta rispetto a quello annuale, per il fatto di essere un semplice “allegato” di quest’ultimo.

           

            Questo approccio è fuorviante in relazione all’importanza e agli obblighi della programmazione negli enti locali. Come già detto, la programmazione  si esplica attraverso un processo ben delineato, che parte dalla presentazione delle linee programmatiche al Consiglio (ai sensi dell’art. 34, comma 2 bis, della legge n. 142 del 1990) per confrontare, poi, gli indirizzi generali da un lato, ed i mezzi a disposizione e le effettive possibilità operative dall’altro, nella redazione del piano generale di sviluppo dell’ente (art. 7, comma 7 del D. Lgs. n. 77 del 1995) e nella successiva costruzione dei programmi che costituiscono la chiave di lettura del bilancio pluriennale e della relazione previsionale e programmatica.

           

            Nel contesto della programmazione delle attività degli enti locali, il bilancio pluriennale si inserisce, pertanto, quale strumento essenziale di analisi finanziaria. Riveste una importanza fondamentale assieme alla relazione previsionale e programmatica, poiché attraverso questi due documenti si concretizza la capacità di programmazione di medio termine degli organi di governo degli enti locali.

           

            Mentre la relazione previsionale e programmatica ha lo scopo di individuare un piano generale degli interventi dell’ente locale, illustrando i programmi, i progetti e le relative risorse da utilizzare, il bilancio pluriennale ha quale principale funzione la verifica complessiva dell’entità e della tipologia dei mezzi finanziari idonei a garantire il mantenimento degli equilibri finanziari nel tempo e, in particolare, la copertura delle spese di funzionamento e di investimento.

           

            Tale verifica prende in considerazione un periodo di più anni in relazione a vari elementi, fra i quali si distinguono le opere pubbliche e gli altri investimenti che usualmente comportano spese in conto capitale e oneri indotti in grado di produrre effetti finanziari anche a lunga distanza di tempo dal momento delle decisione e di avvio dell’intervento. Vi sono inoltre alcune fonti di finanziamento, come i mutui passivi, che per loro natura incidono sugli equilibri dei bilanci futuri, in termini di spese per interessi passivi e rimborsi di capitale.

           

            I riflessi finanziari delle decisioni già prese e delle altre da effettuare, come descritte nella relazione previsionale e programmatica, debbono essere attentamente vagliati per la corretta elaborazione del bilancio pluriennale; ciò per rispettare i principi della veridicità e della coerenza delle previsioni di bilancio.

           

            Si può, pertanto, affermare che, in via generale, l’attendibilità e la veridicità del bilancio pluriennale discendono dall’esistenza di una valida ed efficace programmazione, che si traduce nell’individuazione di “programmi” da indicare nella relazione previsionale e programmatica e nel bilancio pluriennale. Vale, a tal proposito, la definizione data dall’art. 7, comma 7, del D. Lgs. n. 77 del 1995.

           

            In base al comma 1 dell’art. 13 il bilancio pluriennale è bilancio di competenza finanziaria (competenza giuridico-finanziaria) prendendo in considerazione le entrate e le uscite per le quali si prevede sorga il diritto all’accertamento e l’obbligo all’impegno, senza tenere conto dei rispettivi momenti successivi dell’incasso e del pagamento (movimentazioni effettive di cassa); inoltre, ha durata pari a quello della regione di appartenenza e comunque non inferiore a tre anni.

           

           

            3. Carattere autorizzatorio del bilancio pluriennale.

           

            Un elemento di grande novità introdotto dal nuovo ordinamento, che rafforza e qualifica maggiormente la fase di programmazione dell’ente locale, è certamente il carattere autorizzatorio del bilancio pluriennale; ciò significa, innanzitutto, che gli stanziamenti di spesa costituiscono limite di assunzione degli impegni di spesa per ciascun esercizio indicato dal bilancio pluriennale come espressamente indicato all’art. 13, comma 4.

           

            Per le entrate, invece, gli stanziamenti rappresentano le somme che secondo i principi di veridicità e di attendibilità si ritiene di poter ragionevolmente accertare in ogni esercizio contemplato dal bilancio pluriennale. Gli stanziamenti di entrata rappresentano, pertanto, indirizzo e programma che l’organo consiliare assegna all’organo esecutivo per il reperimento delle risorse finanziarie necessarie al finanziamento delle spese di funzionamento e di investimento.

           

            Come diretta conseguenza del carattere autorizzatorio del bilancio pluriennale si pone, fra l’altro, la necessità di assumere impegni sul bilancio pluriennale qualora dalle scelte amministrative derivino spese a carico degli anni futuri e non si rientri nella fattispecie di cui all’art. 27, commi 2 e 5 (impegni automatici), nel qual caso non c’è bisogno di uno specifico atto di impegno di spesa.

           

            Si evidenzia, in questo caso, la responsabilità diretta del responsabile del servizio nell’indicare nella determinazione di impegno di spesa (comma 9, art. 27) tutti gli elementi necessari ad una corretta quantificazione delle spese, non solo nell’esercizio considerato ma anche in quelli successivi e la responsabilità di verifica e di controllo della copertura finanziaria da parte del responsabile del servizio finanziario.

           

            Particolare attenzione deve essere, inoltre, prestata alla previsione di spese che per loro natura hanno durata superiore a quella del bilancio pluriennale e di quelle che iniziano dopo il periodo considerato dal bilancio pluriennale (art. 27, comma 7 del D.Lgs. 77/95); tali spese derivano perlopiù dalle opere pubbliche e dagli altri investimenti.

           

            Per tali previsioni di spesa sarà opportuno provvedere alla redazione di uno specifico prospetto ai fini del successivo inserimento nei documenti di bilancio.

           

            L’art. 43 D. Lgs. n. 77 del 1995, relativamente alla programmazione degli investimenti e ai piani economico-finanziari, dispone che per tutti gli investimenti degli enti locali comunque finanziati:

           

1)         si dà atto della copertura delle maggiori spese determinate dall’investimento nel bilancio pluriennale originario eventualmente modificato dall’organo consiliare;

             

2)         si assume l’impegno di inserire nei bilanci pluriennali successivi le ulteriori o maggiori previsioni di spese relative a servizi futuri.

           

            Gli stanziamenti del bilancio pluriennale sono aggiornati annualmente per scorrimento in sede di approvazione del bilancio di previsione (art. 13, comma 4 del D. Lgs. n. 77 del 1995).

           

            Va ricordata la necessaria coerenza con il programma triennale delle opere pubbliche e con l’elenco annuale (cfr. § 5 del capitolo III).

           

           

9.            Struttura del bilancio pluriennale.

           

            Il bilancio pluriennale è redatto nell’osservanza di tutti i principi previsti per il bilancio annuale dall’art. 4, tranne quello dell’annualità.

           

            Differisce dal bilancio annuale perché presenta una struttura sintetica, in diretta correlazione con la struttura della relazione previsionale e programmatica.

           

            Proprio queste diverse caratteristiche lo differenziano dal bilancio annuale, il quale resta tuttora il documento più completo di programmazione finanziaria, anche in ossequio al dato testuale dell'art. 55 della legge n. 142 del 1990 dal quale risulta chiaramente il carattere di centralità del bilancio annuale "corredato" dal bilancio pluriennale e dalla relazione previsionale e programmatica.

           

9.2.      La parte entrata.

           

            Per la parte entrata il bilancio pluriennale comprende il quadro dei mezzi finanziari che, per ciascuno degli anni considerati, si prevede di destinare:

           

1)         alla copertura di spese correnti;

             

2)         al finanziamento di spese d’investimento, con indicazione della capacità di ricorso alle fonti di finanziamento.

           

            Il bilancio pluriennale per la parte entrata rileva:

           

3)         l’avanzo di amministrazione applicato al bilancio nelle sue varie forme: vincolato, finanziamento investimenti, fondo ammortamento e parte non vincolata;

             

4)         i titoli di entrata, con esclusione delle categorie, delle risorse e dei servizi per conto di terzi;

           

5)         le singole risorse con le seguenti indicazioni:

-           gli accertamenti dell’ultimo esercizio chiuso;

-           le previsioni dell’esercizio in corso;

-           le previsione del bilancio pluriennale indicate anno per anno e nel totale;

           

6)         il riepilogo dei titoli, dell’avanzo ed il totale generale.

           

9.3.      La parte “ spesa “.

           

            Il bilancio pluriennale per la parte spesa è strutturato nel seguente modo:

           

1)         per programmi;

             

2)         per titoli;

           

3)         per servizi e interventi.

           

           

            Si rilevano per ciascun programma, titolo, servizio e intervento, l’ammontare delle spese correnti di gestione, suddivise tra spese consolidate (CO) e di sviluppo (SV), anche derivanti dall’attuazione delle politiche d’investimento, nonché le spese d’investimento previste (IN); tutto ciò distintamente per ognuno degli anni considerati dal bilancio pluriennale.

           

            Ogni programma o servizio rileva gli interventi suddivisi per titoli, con il totale per titoli ed il totale finale per l’intero programma o servizio.

           

            Ogni intervento di spesa, nell’ambito di ciascun titolo rileva:

           

4)         gli impegni dell’ultimo esercizio chiuso;

             

5)         le previsioni definitive dell’esercizio in corso;

           

6)         le previsioni del pluriennale, anno per anno, e con distinzione per ciascun anno della spesa consolidata e di quella di sviluppo.

           

            Sono previsti inoltre riepiloghi finali per interventi e per programma.

           

           

10.       Durata del bilancio pluriennale.

           

            La durata del periodo contemplato dal bilancio pluriennale è pari a quello della regione di appartenenza e comunque non inferiore a tre anni. La durata del periodo analizzato dal bilancio pluriennale coincide, inoltre, con quella della relazione previsionale e programmatica.

           

            Il primo esercizio indicato nel bilancio pluriennale coincide con il periodo preso in considerazione dal bilancio annuale.

           

           

11.       Il bilancio pluriennale è scorrevole.

           

            Il nuovo ordinamento finanziario e contabile prevede l’impiego del metodo scorrevole nella redazione del bilancio pluriennale; tale metodo era peraltro già adottato anche dall’ordinamento precedente, di cui al D.P.R. 19 giugno 1979, n. 421.

           

            Il bilancio pluriennale viene definito scorrevole poiché ogni anno rileva un periodo di tempo traslato in avanti di un esercizio finanziario e deve pertanto essere aggiornato in sede di approvazione del bilancio di previsione, visto che il primo esercizio del bilancio pluriennale coincide con l’esercizio contemplato dal bilancio annuale.

           

            Deve essere posta particolare attenzione agli impegni pluriennali già assunti che debbono essere rideterminati in ragione di ogni anno previsto dal bilancio pluriennale per effetto della scorrevolezza dello stesso. Ciò è di basilare importanza per non incorrere nell’errore di prevedere stanziamenti di bilancio insufficienti a coprire gli impegni già assunti, oltre, ovviamente, alle altre spese obbligatorie e fisse.

           

            Si fa riferimento, in particolare, oltre agli impegni sul bilancio pluriennale veri e propri, anche alle spese derivanti da scelte pregresse, ma che si manifestano in anni successivi oltre al periodo indicato nel bilancio pluriennale come, ad esempio, gli oneri indotti degli investimenti. Vi sono, poi, le spese che per loro natura ricadono anche negli anni successivi come, ad esempio, le rate di ammortamento dei mutui ed i premi assicurativi.

           

            Tutte le fattispecie suindicate devono essere vagliate e rimodulate ogni anno per la corretta determinazione degli stanziamenti di spesa da inserire nel bilancio pluriennale.

           

            Si evidenzia l’importanza di questa fase di previsione, poiché dalla correttezza di queste operazioni deriva direttamente la veridicità e l’attendibilità, nonché il rispetto degli equilibri del bilancio stesso. Emerge, in tale ambito, la competenza del responsabile del servizio nell’indicare correttamente le previsioni di spesa dei servizi di propria competenza ed anche la successiva responsabilità di verifica e di controllo da parte del responsabile del servizio finanziario.

             

           

12.            Variazioni del bilancio pluriennale.

 

Il bilancio pluriennale soggiace alle stesse regole previste per il bilancio annuale per quanto riguarda le variazioni in corso di esercizio, ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. n. 77 del 1995.

 

Il carattere autorizzatorio del bilancio pluriennale impone, in particolare, l’adozione di delibere di variazione dello stesso, laddove l’approvazione di progetti esecutivi di opere pubbliche o, comunque, qualsiasi altra scelta da effettuare in corso di esercizio, comportino differenti previsioni di spesa rispetto alla originaria formulazione del bilancio pluriennale; ciò nell’osservanza del principio della copertura finanziaria e al fine di mantenere gli equilibri di bilancio.

 

Si fa presente che le variazioni del bilancio pluriennale devono corrispondere alle variazioni della relazione previsionale e programmatica, per la loro natura di strumenti di programmazione inscindibilmente e reciprocamente correlativi e collegati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO   VI

 

IL PIANO ESECUTIVO DI GESTIONE

 

 

 

 

SOMMARIO:1. Il quadro normativo; 2. Obiettivi ed indicatori; 3. Le variazioni al PEG; 4. Obbligo del PEG; 5. Ulteriori considerazioni.

 

 

3.         Il quadro normativo.

           

            In premessa va osservato che l’intervento del legislatore mira a realizzare una vera demarcazione tra attività di direzione/controllo e attività di gestione, in concomitanza con una corretta valutazione degli aspetti di razionalità economica e riesce, conseguentemente, a delineare il quadro effettivo delle responsabilità.

           

            L’art. 11 del D.Lgs. n. 77 del 1995 introduce il piano esecutivo di gestione, che costituisce una novità assoluta, dal punto di vista della programmazione e della pianificazione operativa, nella gestione dell’ente locale. Il piano esecutivo di gestione (da qui in avanti individuato con l'acronimo PEG) rappresenta, infatti, lo strumento attraverso il quale si mettono in evidenza i piani operativi di conseguimento delle risorse, nonché di impiego e combinazione degli interventi (fattori produttivi), distinguendoli dalla pianificazione strategica e dalla programmazione.

           

            La predisposizione di tale documento spetta alla giunta, che è l’organo di governo; in tal senso si inquadra nell’ambito dei poteri di indirizzo/controllo propri degli organi di governo politico.

           

            Sulla base delle disposizioni contenute nel comma 1 dell’art. 11 si realizza un sostanziale collegamento del PEG con il bilancio di previsione annuale deliberato dal consiglio e, di conseguenza, con la relazione previsionale e programmatica, specificandone in maniera più dettagliata le previsioni.

           

            Il PEG individua gli obiettivi specifici della gestione da raggiungere: a tal fine il documento si compone di una parte descrittiva e di un’analisi quantitativa basata su elementi aventi natura extra-contabile che corredano gli elementi di tipo quantitativo-monetario previsti nel comma 2. Il conseguimento dei menzionati obiettivi è affidato ai responsabili dei diversi servizi, che sono i gestori di ciascun aspetto dell’attività dell’ente e che ricevono a tal fine le dotazioni di mezzi ( risorse materiali e finanziarie, nonché risorse umane ) necessarie per lo svolgimento dei compiti loro assegnati.

           

            L’area presa in considerazione copre “tutta” l’attività dell’ente e in riferimento a tale aspetto va ricordato che per il contenuto dell’art. 7, comma 8, “a ciascun servizio è correlato un reparto organizzativo, semplice o complesso, composto da persone e mezzi, cui è preposto un responsabile”.

           

            Il comma 2 del medesimo art. 11 prevede un ulteriore dettaglio:

           

1)         delle risorse dell’entrata in capitoli, individuati suddividendo ulteriormente le diverse voci nell’ambito dello stesso oggetto (ad esempio, per le entrate derivanti dalla riscossione dell’I.C.I. per i comuni si potrebbe ipotizzare la suddivisione tra le entrate relative al possesso della prima abitazione e quelle derivanti da altre fattispecie);

             

2)         degli interventi in capitoli, da effettuare tramite un’ulteriore suddivisione all’interno delle rispettive tipologie di fattori produttivi. Pertanto l’intervento relativo all’acquisizione dei servizi potrebbe operare una distinzione tra servizi a rete, consulenze, ecc., o anche una suddivisione nell’ambito degli stessi servizi a rete; quest’ultima ipotesi, seppure funzionale a una dettagliata analisi della spesa per finalità di controllo, di fatto potrebbe però portare a un irrigidimento del PEG, che risulterebbe molto vincolante e imporrebbe in conseguenza numerose variazioni;

           

3)         dei servizi in centri di costo. Un centro di costo può essere inteso come una costruzione contabile tramite la quale si mira a raccogliere, con riferimento ad aggregati di operazioni elementari o di complessi di operazioni svolte in unità organizzative individuate e/o individuabili, secondo il livello di aggregazione ritenuto utile per l’osservazione, la spesa dei fattori produttivi impiegati. Sotto quest’ultimo profilo la denominazione “centro di costo” ha pieno significato sotto il profilo della considerazione delle voci economiche considerate che, nell’ambito della contabilità economica, sono destinate a rilevare i rispettivi costi; nell’ambito del PEG però i valori considerati in ogni centro sono di natura finanziaria e, con le disaggregazioni di cui si è detto, considerano invece, in fase previsionale e durante la gestione, i soli valori di spesa.

           

            L’articolazione della previsione nell’ambito delle risorse, dei servizi e degli interventi  va interpretata nel senso di soddisfare la necessità che consegue dall’esigenza di dare effettivo contenuto operativo agli obiettivi precisati. Pertanto non potranno esserci delle regole predefinite; l’articolazione di cui si è detto deve infatti essere strumentale all’esercizio della delega, permettendo il passaggio delle responsabilità dall’organo di indirizzo a quello di gestione.

           

            In considerazione di quanto esposto, va osservato che il dettaglio di bilancio predisposto per il PEG presenterà delle particolarità rispetto all’analisi di bilancio svolta per le altre finalità nell’ambito del controllo di gestione. Infatti nel dettaglio operativo previsto dal PEG assume un significato rilevante la suddivisione dei servizi in centri di costo: proprio in ragione dell’assegnazione di responsabilità a cascata, tale da riferirsi a specifiche unità organizzative anche se all’interno del medesimo servizio. L’osservazione appena formulata assume certamente rilevanza per i servizi giudicati più importanti dall’ente (così per il servizio scolastico si potrebbe prevedere un’articolazione riferita ai diversi raggruppamenti di scuole), oppure per i servizi “complessi”, aventi per oggetto attività diverse (potrebbe essere il caso di un unico servizio da suddividersi in assistenza scolastica, trasporto e refezione).

           

            La redazione del PEG costituisce un momento fondamentale al fine di una razionale gestione dell’ente pubblico; in sostanza il PEG esplicita il “piano operativo”, che trova espressione quantitativa nel “ budget “, ma che si compone anche di una descrizione qualitativa e altresì della considerazione di quantità non monetarie. Data la necessità per gli enti di dotarsi di tale strumento di gestione, si deve osservare che nel caso in cui lo stesso non venga predisposto o non venga compilato in termini soddisfacenti, il suo contenuto dovrà essere comunque espresso nella relazione previsionale e programmatica, che conterrà quindi i necessari dettagli operativi, o dovrà essere integrato con successive deliberazioni della giunta.

           

            L’ipotesi di integrazione del PEG con successive deliberazioni della giunta può forse realizzarsi negli enti minori, ma in quelli per i quali vi è l’obbligo di redazione del PEG una tale scelta porterebbe allo svuotamento del piano di ogni contenuto sostanziale per effetto della possibilità in tal modo conferita alla giunta di intervenire nella gestione operativa. Il risultato di quanto paventato consisterebbe di fatto nel non corretto trasferimento delle decisioni sugli atti che concretizzano lo svolgimento della spesa, dai dipendenti alla giunta.

           

            Il PEG comporta una più puntuale definizione, nell’ambito dei menzionati obiettivi del bilancio, anche degli obiettivi della gestione. Copre, in altre parole, lo spazio operativo che si frappone fra la visione di sintesi, seppure riferita all’esercizio prossimo, e le operazioni della gestione che dovranno realizzarla, con quel dettaglio che sarà suggerito dai problemi, dalle sensibilità degli operatori, dalle dimensioni, dalle culture, dagli stili di controllo che caratterizzeranno i diversi enti.

           

            Alle menzionate considerazioni deve aggiungersi che il PEG conferisce al bilancio veridicità ed attendibilità, poiché ne chiarisce i contenuti. I giudizi che al riguardo devono essere predisposti non potranno non tenerne conto, come si dirà relativamente al nuovo contenuto della lettera b) del comma 1 dell’art. 105 del D.Lgs. n. 77 del 1995.

           

            L’art. 4 del nuovo ordinamento finanziario e contabile disciplina i principi contabili che, naturalmente, hanno valenza anche nella redazione del PEG.

           

            Il principio della “veridicità”, già commentato per il bilancio, indica la necessità di un comportamento improntato alla verità, alla correttezza, all’applicazione della norma per realizzare le finalità dalla stessa previste. La veridicità indica un modo di essere dell’azione amministrativa che assume connotati ancora più precisi ove si affianchi alla realizzazione dell’altro principio, quello della “attendibilità”; il tutto, naturalmente, in relazione alle comuni conoscenze e alle regole dell’amministrazione pubblica, secondo quell’applicazione che deve essere propria delle rispettive professionalità.

           

            Per verificare se sotto il profilo esaminato il PEG abbia un contenuto valido, occorre accertarsi se il PEG è in grado, con riferimento ai diversi servizi, di esprimere le conoscenze concrete (attraverso l’esplicitato indirizzo programmatico e l’indicazione degli obiettivi concreti), tali da rendere possibile lo svolgimento dell’attività da parte dei dipendenti, nei modi che sono previsti dal capo III del D.Lgs. n. 77 del 1995.

           

           

4.         Obiettivi ed indicatori.

           

            Il PEG, nell’ambito di una programmazione definito dagli organi politici ma rimessa per l’attuazione agli organi tecnici, manifesta il passaggio di consegne fra organi politici ed organi tecnici e contiene indicazioni circa gli obiettivi gestionali assegnati congiuntamente alle risorse necessarie alla loro realizzazione.

           

            Per “obiettivi gestionali” (locuzione di carattere tecnico) si definiscono le attività, le azioni, gli interventi individuati con il supporto degli organi tecnici come funzionali e diretti alla realizzazione di un risultato definito a livello previsionale (generalmente collegabile e finalizzato alla realizzazione di un programma della relazione previsionale e programmatica).

           

            Le attività devono necessariamente essere poste in termini di obiettivo e contenere una precisa ed esplicita indicazione circa il risultato da raggiungere. Quest’ultimo può essere espresso in termini di: tempo, volume d’attività, costo, ecc. oppure in termini qualitativi, ma devono risultare comunque verificabili e trovare un riscontro oggettivo.

           

            Per le attività innovative, ancora da definire in tutti gli aspetti, oggetto di sperimentazioni ed aggiustamenti, l’obiettivo è desumibile direttamente come ricerca di ottimizzazione gestionale a cui far seguire il consolidamento dell’attività stessa negli atti successivi.

           

            Gli obiettivi gestionali presenti nel PEG hanno necessariamente valenza annuale e, qualora si riferiscano ad azioni che si protraggano per periodi più lunghi devono essere riproposti nei vari anni e misurati correttamente nel loro stato di avanzamento.

           

            La giunta con l’approvazione del PEG e con l’assegnazione delle risorse necessarie alla realizzazione degli obiettivi approva la pianificazione proposta dai dirigenti e dai responsabili dei servizi, nell’ipotesi primaria voluta dal legislatore che il PEG sia definito con il concorso della burocrazia locale. Si evita così che si verifichi il caso di mancata coerenza e congruità fra dotazione di risorse ed obiettivi, sintomo di un non corretto processo di programmazione e pianificazione. In tal caso, i dirigenti o i responsabili dei servizi dovrebbero evidenziare nel parere tecnico le incoerenze e la mancata congruità delle risorse assegnate.

           

            Di tale parere tecnico, tiene conto l’organo di revisione, nell’espressione del parere-giudizio sul bilancio, di cui alla lettera b) del primo comma dell’art. 105 del D.Lgs. n.77 del 1995 se il PEG è noto definitivamente prima della sua redazione. Diversamente l’organo di revisione ne terrebbe conto con separato atto.

           

            Gli “obiettivi gestionali”, per essere definiti, necessitano di un idoneo strumento di misurazione individuabile negli indicatori. Essi consistono in parametri gestionali considerati e definiti a preventivo, ma che poi dovranno trovare confronto con i dati desunti, a consuntivo, dall’attività svolta.

           

            In questo contesto si vuole rimarcare che la loro individuazione può fornire un fondamentale ausilio alla concretezza del PEG, alla sua capacità di essere “guida” nei riguardi della struttura operativa, ma anche termine di raffronto a consuntivo, per favorire il buon andamento e assicurare nel contempo condizioni di trasparenza.

           

            La validità degli indicatori è da valutarsi rispetto al risultato raggiunto e può pertanto essere opportuna ed idonea una “griglia di indicatori” tra loro correlati.

           

            La misurazione dell’attività svolta per la realizzazione dell’obiettivo (per esempio la rilevazione del numero di pratiche effettuate o il costo di un servizio ecc.) non costituisce in alcun modo misurazione del risultato. Questi indicatori sono sicuramente utili per definire la portata dello sforzo effettuato, ma non possono esprimere l’unità di misura per il risultato.

           

            Il fatto che talvolta siano considerati come indicatori di risultato alcune variabili e/o parametri non direttamente modificabili dal responsabile di servizio come per esempio la quantità di domande/adesioni/richieste pervenute dalla comunità locale o dal “target di riferimento” non deve in alcun modo indurre i responsabili dei servizi stessi ad esimersi dalla loro misurazione. Queste variabili definiscono infatti, in prima battuta, oltre al risultato delle azioni intraprese, la capacità di programmazione/stima dei responsabili rispetto al contesto in cui operano. Come il mercato è il giudice del manager privato così il cittadino/utente deve essere il giudice dell’amministratore pubblico.

           

            Gli organi politici rappresentano invece il soggetto “portatore di idee per la struttura” e come tali devono essere considerati i soggetti titolari del diritto ad effettuare il giudizio sul raggiungimento del risultato per gli atti che la legge riserva al loro esame/approvazione.

           

            I parametri gestionali fondamentali da calcolarsi ogni anno possono essere espressamente previsti dal regolamento come parametri di riferimento ed essere utilizzati nelle procedure di controllo di gestione.

           

            Il supporto degli indicatori al PEG trova poi conforto dal D.Lgs. n. 342 del  1997 che ha inserito nell’ordinamento la seguente disposizione: “ Al comma 1 dell’art. 14 del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77, dopo la lettera e) è inserita la seguente: “e-bis) la tabella relativa ai parametri di riscontro della situazione di deficitarietà strutturale prevista dalle disposizioni vigenti in materia”. Tale disposizione è significativa, poiché attesta dell’attenzione del legislatore nella direzione della utilizzazione degli indicatori nell’ambito del bilancio, quindi, a maggiore ragione, nell’ambito del PEG.

           

           

5.         Le variazioni al PEG.

           

            Il responsabile del servizio, ora nominato dal sindaco, per effetto della modifica dell’art. 19 del D.Lgs. n. 77 del 1995, nel caso ritenga necessaria una modifica della dotazione assegnata, deve proporre all’organo esecutivo le variazioni con le modalità definite nel regolamento di contabilità.

           

            Le variazioni al PEG sono di competenza dell’organo esecutivo (art. 17, comma 9) e possono essere adottate entro il 15 dicembre di ciascun anno.

           

            Qualsiasi mancato accoglimento anche parziale della proposta di variazione deve essere adeguatamente motivata dall’organo esecutivo.

           

            Le variazioni possono concernere tutte le dotazioni assegnate e quindi sia di quelle quantitativo-monetarie sia gli obiettivi gestionali ed i relativi risultati attesi.

            4.  Obbligo del PEG.

           

            Gli enti obbligati alla redazione del PEG sono individuati, al comma 3 dell’art. 11,  negli enti locali aventi un numero di abitanti pari o superiore a 15.000 abitanti.

           

            Per gli altri enti l’adozione del PEG è facoltativa.

           

            Frequentemente, comuni con popolazione inferiore al limite fissato dal legislatore hanno adottato il PEG quasi esclusivamente per poter conservare con esso i capitoli di bilancio del vecchio impianto contabile. A volte hanno seguito le indicazioni di programmi informatici, invero poco precisi. In questi casi, si è soltanto resa più complessa l’ordinaria gestione, senza alcun reale beneficio ed in contrasto con le finalità di semplificazione che il nuovo ordinamento ha voluto per i piccoli comuni. Per di più, i vecchi capitoli sono poco utili ai fini della contabilità economica.

           

            In altri casi, l’adozione del PEG è stata motivata dalla necessità di esplicazione delle scelte, in presenza di una relazione previsionale e programmatica generica e priva di corrette direttive e precisi programmi. E’ evidente che il rimedio del PEG, oltre a costituire un aggravio, non è risolutivo, in quanto l’organo consiliare così non ha potuto fornire gli indirizzi generali di sua competenza.

           

            E’ ovvio, tuttavia, che la redazione del PEG è raccomandabile quando i volumi degli interventi assumano entità rilevante e/o si ritenga utile una più penetrante separazione tra gli obiettivi di bilancio, da motivarsi nella relazione previsionale programmatica, e obiettivi gestionali.

           

           

            5. Ulteriori considerazioni.

           

            La codifica dei capitoli deve aiutare la lettura: così ogni capitolo deve immediatamente essere collegabile all’intervento od alla risorsa che vuole dettagliare ed ogni centro di costo deve a sua volta leggersi come parte di un servizio. La scorciatoia di riprodurre i vecchi capitoli, che hanno tutt’altra impostazione, non rende trasparente la codifica ed irrigidisce il PEG.

           

            Circa il rispetto della struttura organizzativa, ivi comprese le responsabilità trasversali, va osservato che il PEG va costruito in maniera adeguata ad essa. In modo particolare la norma consente di suddividere la responsabilità di un servizio di tipo trasversale (dunque rivolto ad utenti posti all’interno dell’ente) o di una sua parte fra gestore e responsabile del procedimento.

           

            Va comunque precisato che per i centri interessati (centro gestore e centro responsabile), devono chiaramente essere chiariti i ruoli dei responsabili, attraverso il PEG od attraverso un atto regolamentare.

           

            Circa i rapporti con il controllo di gestione, va osservato che il PEG delimita l’autonomia dei responsabili e non può invece farsi carico delle problematiche informative che sono proprie del controllo di gestione. Così ad esempio conoscere per l’intervento “prestazioni di servizi” di una determinata area di responsabilità (servizio o centro) l’ammontare delle spese telefoniche, è certamente utile, ma non per questo si rende opportuno istituire il capitolo “spese telefoniche”. Ed infatti una eccessiva frammentazione degli interventi in capitoli limiterebbe troppo l’autonomia dei responsabili e richiederebbe inoltre numerose variazioni del PEG durante la gestione. L’analisi conoscitiva deve dunque essere utilmente portata avanti non attraverso una proliferazione dei capitoli, ma invece per mezzo di una ulteriore analisi al loro interno, utilizzando specifici “articoli”.

           

 

           

           

           

           

           

           

            CAPITOLO  VII

           

            IL PATTO DI STABILITA’ INTERNO

           

           

           

           

            SOMMARIO: 1. La disposizione di legge; 2. La direttiva ministeriale; 3) Le circolari interpretative del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica; 4) Conseguenze degli adempimenti necessari al rispetto del piano di stabilità.

           

           

           

           

            1. La disposizione di legge.

           

            L’art. 28 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (legge di accompagnamento della finanziaria 1999) ha prescritto l’obbligo per le province, per i comuni e per le comunità montane di concorrere alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica che il paese ha adottato, in sede europea, con l’adesione al patto di stabilità e crescita.

           

            Di conseguenza, è imposto l’impegno di raggiungere due contemporanei obiettivi: a) ridurre progressivamente il finanziamento in disavanzo delle proprie spese; b) ridurre il rapporto tra il proprio ammontare di debito ed il prodotto interno lordo.

           

            Avendo il Parlamento deciso di escludere il coinvolgimento delle spese di investimento e perciò di sostituire l’originario termine di riferimento proposto dal Governo nell’”indebitamento netto” (che aveva una sua definizione normativa precisa) con il “disavanzo” (che non l’aveva e che anzi sarebbe stato in contrasto con i principi generali normativamente previsti del pareggio generale finanziario e dell’equilibrio economico), la norma ha dovuto definire, al comma 1 dell’art. 28, anche il significato da dare al nuovo termine di riferimento. Il “disavanzo” è stato, quindi, definito quale la differenza “tra le entrate finali effettivamente riscosse, inclusive dei proventi della dismissione di beni patrimoniali, e le uscite finali di parte corrente al netto degli interessi”. La norma ha anche precisato che tra le entrate non sono considerati i trasferimenti dello Stato e che si tiene conto delle variazioni del gettito dell’imposta regionale sulle attività produttive e delle addizionali dei tributi erariali.

           

            Invero, la deduzione dei trasferimenti erariali, indispensabile per evidenziare i disavanzi finanziari stabiliti dalla legge n. 448 del 1998, pone rilevanti problemi di giustizia fra gli enti locali. E’ indubbio che siano svantaggiati gli enti con maggiori trasferimenti, conseguenti tra l’altro a povertà di basi imponibili dei nuovi tributi assegnati in sostituzione dei trasferimenti. Così come sono avvantaggiati gli enti che avendo altri tributi (ad esempio l’ICI) hanno conservato contributi erariali solo in misura minima.

           

            Il comma 2 del medesimo art. 28 stabilisce la misura della riduzione del disavanzo annuo che è, per il 1999, di 0,1 punti percentuali del PIL e per i due anni successivi costante. Per la riduzione, sono indicati i mezzi classici del perseguimento di obiettivi di efficienza, dell'aumento di produttività, della riduzione dei costi e del tasso di crescita della spesa corrente, del recupero di base imponibile, dell’aumento delle tariffe dei servizi pubblici a domanda individuale e dei proventi delle dismissioni immobiliari.

           

            Il comma 3 imposta un programma generale di riduzione del debito pubblico locale, indicando, anzitutto, che l’operazione relativa è sostenuta oltre che dalla progressiva riduzione del disavanzo, anche dai proventi delle vendite immobiliari. Stabilisce le modalità da osservare nella presentazione dei piani finanziari al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, ai fini del rimborso anticipato dei mutui contratti con la Cassa depositi e prestiti. Rafforza le disposizioni con la previsione del pagamento della penale prevista per il rimborso dei mutui e calcolata in base alle norme vigenti, anche con riduzione dei trasferimenti statali.

           

            Il comma 5 stabilisce un sistema di verifica della realizzazione degli obiettivi, a distanza di un anno, per le province con popolazione superiore a 400.000 abitanti e per i comuni con popolazione superiore a 60.000 abitanti, demandandolo al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.

           

            Il comma 6 affida alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e la Conferenza Stato-città ed autonomie locali di stabilire le misure che devono osservare gli enti che presentano scostamenti dagli obiettivi sopraindicati.

           

            Il comma 7, con norma alquanto generica, stabilisce che nella riduzione del disavanzo deve essere mantenuta la corrispondenza tra funzioni e risorse, al fine di assicurare l’efficienza e l’efficacia dell’attività amministrativa, da verificarsi attraverso le procedure del controllo di gestione.

           

            Infine, il comma 8 pone a carico degli enti inadempienti la quota parte della sanzione per deficit eccessivo che fosse applicata allo Stato italiano dalla comunità europea.

           

            Comunque rivelarsi opportuna per rendere operativa la separazione fra gli obiettivi di bilancio ed obiettivi gestionali ed evitare di dover di volta in volta approvare atti di indirizzo aventi comune contenuto singoli programmi o progetti, cui dovrebbero seguire le determinazioni di spesa da parte dei responsabili dei servizi. Ciò accadrebbe specie se la relazione previsionale e programmatica non sia sufficientemente dettagliata.

           

           

            2. La direttiva ministeriale.

           

            Il nuovo sistema del patto di stabilità interno appena noto nella sua formulazione ha destato preoccupazioni ed incertezze negli enti locali che si accingevano a presentare il proprio bilancio di previsione.

           

            I ministeri dell’interno e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica hanno perciò emanato la direttiva del 18 febbraio 1999 per chiarire la portata della norma.

           

            La direttiva ha testualmente affermato che il patto di stabilità “indica dei risultati da raggiungere, e in questo senso è prescrittivo, ma non pone dei vincoli sulle modalità di raggiungimento dei risultati, che possono essere diversamente calibrate, e in questo senso è programmatico”.

           

            Ai fini della redazione dei bilanci ha chiarito che “le indicazioni contenute dell’art. 28, comma 2, non costituiscono requisiti di legittimità di bilancio e delle deliberazioni in genere assunte od omesse dalle amministrazioni interessate. A maggior ragione non rilevano dal punto di vista delle legittimità dei bilanci preventivi e dei futuri assestamenti le previsioni relative alla riduzione dell’indebitamento pregresso che “…” non costituiscono neppure un onere autonomo”.

           

            Continua la direttiva avvertendo però che le prescrizioni contenute nell’art. 28 “sono rilevanti dal punto di vista della responsabilità finanziaria in cui gli enti possono incorrere in caso di mancato raggiungimento dei risultati desiderati”.

           

           

            3. Le circolari interpretative del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.

           

            Il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica ha emanato la circolare n. 11 del 12 marzo 1999, per il complesso del problema, e la circolare n. 1 del 26 marzo 1999, per l’operazione di rimborso anticipato dei mutui della Cassa depositi e prestiti, finalizzate entrambe al commento della norma di legge ed alle istruzioni applicative anche in vista della verifica affidatagli.

           

            Nell’esprimere il proprio orientamento il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica con la citata circolare n. 11 ha apportato alcuni adattamenti estensivi, che saranno appresso evidenziati e che suggeriscono la necessità di una prossima copertura legislativa, nel caso si ritenga di mantenerli.

           

5.2.      Il miglioramento del saldo.

 

Un primo adattamento, che incide direttamente sui soggetti tenuto all’applicazione della norma, è desumibile dal titolo della parte prima (che è il titolo del presente paragrafo) e dal suo contenuto. Da esso discende che la norma sulla riduzione del disavanzo si applica a tutti gli enti locali e non solo a coloro che presentano un risultano negativo.

 

Nel paragrafo 1 della parte prima della circolare n. 11 è quantificata la portata della riduzione, che, si apprende, essere di complessive annue lire 820 miliardi, per ciascuno degli anni dal 1999 al 2001. La riduzione corrispondente all’1,1% della spesa corrente complessiva al netto degli interessi, sempre in termini di cassa, ovvero, se maggiore, al 3% del disavanzo. La crescita del disavanzo tendenziale degli enti locali (cioè di quello che si verificherebbe se non si adottasse alcun provvedimento migliorativo) è stato stimato nel 3,6%. Si suggerisce, quindi, agli enti locali di effettuare le proprie manovre migliorative del proprio saldo tendenziale per la maggiore cifra tra l’1,1% della spesa corrente al netto degli interessi ed il 3% dello stesso saldo tendenziale.

 

Nel paragrafo 2 della parte prima si fornisce lo schema di massima per la determinazione del saldo. Nell’esposizione, si possono rilevare altri due adattamenti. Uno concerne l’inclusione tra le entrate da non considerare ai fini della determinazione del saldo quelle relative alla riscossione dei crediti. L’altro riguarda l’inclusione tra le stesse entrate di quelle relative alle nuove attribuzioni di tributi a comuni e province.

 

Il paragrafo 4 della parte prima indica in concreto quale calcolo si ritiene necessario che eseguano gli enti locali per la determinazione della manovra da effettuare in esecuzione della norma in argomento.

 

Il calcolo prevede che si passi attraverso le seguenti operazioni:

 

1)         calcolo del saldo di cassa dell’anno 1998, definito quale differenza tra le entrate di cassa ammissibili sulla base delle precedenti indicazioni e le spese correnti di cassa al netto degli interessi;

           

2)         calcolo del saldo tendenziale per l’anno successivo (1999) aggiungendo al saldo precedente, se negativo, il 3,6% e sottraendo dal saldo precedente, se positivo, il 3,6%;

           

3)         calcolo dell’intervento correttivo, pari alla maggiore cifra tra l’1,1% della spesa corrente al netto degli interessi passivi e il 3% del saldo tendenziale;

           

4)         calcolo del saldo programmatico di cassa 1999 pari alla differenza tra il saldo tendenziale e l’intervento correttivo.

 

3.2.            Adempimenti formali richiesti alle province ed ai comuni.

           

            E’ richiesto alle province ed ai comuni la presentazione al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica dei seguenti prospetti:

           

1)         allegato 1. Riguarda il calcolo del saldo 1998 e del saldo programmatico 1999 per la gestione di cassa. Deve essere presentato da tutti gli enti locali. Doveva essere anche allegato al bilancio di previsione 1999, se possibile;

           

2)         allegato 2. Riguarda il calcolo del saldo 1998 e del saldo programmatico 1999 per la gestione di competenza. Deve essere presentato da tutti gli enti locali. Doveva essere anche allegato al bilancio di previsione 1999, se possibile;

           

3)         allegato 3. Riguarda l’andamento della gestione di cassa. Deve essere presentato mensilmente dalle province con popolazione superiore a 400.000 abitanti e dai comuni con popolazione superiore a 60.000 abitanti;

           

4)         allegato 4. Riguarda l’andamento della gestione di cassa. Deve essere presentato trimestralmente dalle province con popolazione fino a 400.000 abitanti e dai comuni con popolazione compresa tra 15.000 e 60.000 abitanti;

           

5)         allegato 5. Riguarda l’andamento della gestione di cassa. Deve essere presentato annualmente dai comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti.

           

3.3.      La riduzione del rapporto debito/PIL.

           

            La parte seconda della circolare n. 11 inizia con lo stabilire che cosa debba intendersi per “debito”, in modo da superare le preoccupazioni che una definizione così generica ha fatto sorgere. E’ così affermato che, in linea con quanto fa lo Stato per sé, per debito debba intendersi solo quello derivante da operazioni di prestito e per la sola parte di capitale residuo.

           

            La circolare richiama l’affermazione contenuta nella direttiva ministeriale che la riduzione del rapporto tra l’ammontare del debito di ogni solo ente e il PIL va sostenuta dalle due operazioni contestuali della progressiva riduzione del disavanzo annuo e della destinazione dei proventi della dismissione patrimoniale. Conferma anche preliminarmente che la stessa sostituzione del termine di riferimento “indebitamento netto” con quello nuovo di disavanzo, come sopra definito, proposta ed ottenuta dal Governo, trova la sua ragione nello scopo di evitare che l’obiettivo della riduzione del rapporto debito/PIL potesse essere interpretato come vincolo restrittivo rispetto agli investimenti degli enti locali.

           

            La circolare, e la sua correzione con la successiva citata n. 1, fornisce i dati del PIL per gli anni dal 1998 al 2003 e chiede agli enti locali di allegare al bilancio 1999 un prospetto che pone a raffronto per gli anni nei quali si articola la relazione previsionale e programmatica i seguenti dati di cassa: a) debito al 1° gennaio; b) quota capitale da rimborsare; c) mutui e prestiti obbligazionari da assumere; d) debito al 31 dicembre; e) PIL in miliardi; f) rapporto debito/PIL. Quest’ultimo dato fornisce la dimostrazione della prevista adempienza alla norma.

           

            E’ richiesto poi con il rendiconto 1999 un altro prospetto analogo al precedente e col quale si effettua il raffronto tra i dati di cassa del 1998 e del 1999, per dimostrare l’effettivo raggiungimento del risultato.

           

3.4.      Le caratteristiche del piano finanziario di rientro del debito.

 

Una delle operazioni determinanti della norma sul patto di stabilità interna è quella di consentire, per la prima volta, il rimborso dei mutui assunti presso la Cassa depositi e prestiti, con il solo versamento della quota di capitale residuo.

 

La citata circolare n. 1 afferma che l’operazione è possibile solo agli enti che dimostrino col piano finanziario la progressiva riduzione del rapporto debito/PIL su un orizzonte temporale di almeno cinque anni. Indica poi il percorso da effettuare per determinare gli elementi da inserire nel piano finanziario. Stabilisce uno schema al quale debbono attenersi gli enti locali per la formulazione del piano finanziario.

 

Lo schema, definito allegato A, si sviluppa per gli anni che vanno dal 1998 al 2003 e si ripartisce in 3 sezioni. La prima sezione parte dal debito di fine d’anno, vi aggiunge le spese in conto capitale finanziate con mutuo e le altre, vi detrae l’avanzo di parte corrente, le entrate in conto capitale e l’avanzo si amministrazione (previsto o utilizzato), per definire il debito di fine d’anno. La seconda sezione effettua il riscontro con i dati dei mutui e prestiti ai quali vanno detratte le quote di capitale rimborsate per definire l’incremento tendenziale dal quale detrarre il rimborso anticipato dei mutui della Cassa depositi e prestiti e calcolare l’incremento programmato del debito, che aggiunto al debito di inizio d’anno consente di riscontrare il debito di fine d’anno.

 

La circolare conclude avvertendo che del mancato rispetto di piano, la Cassa depositi e prestiti ne darà comunicazione al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per attivare le procedure di recupero della sanzione stabilita.

 

 

4. Conseguenze degli adempimenti necessari al rispetto del piano di stabilità.

 

Il patto di stabilità interno impone per la sua osservanza e per la relativa dimostrazione prescritta nei prospetti richiesti dal Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica una serie di valutazioni e calcoli di cassa.

 

Ciò non ripristina, ovviamente, le previsioni di bilancio di cassa con effetti autorizzatori, e cioè di limite invalicabile, in quanto esse sono state soppresse dal D. Lgs. n. 77 del 1995.

 

Tuttavia, per l’osservanza sia della riduzione del disavanzo (nell’accezione stabilita dall’art. 28 legge n. 448 del 1998) che nella riduzione del rapporto debito/PIL (come definito dalla circolare ministeriale sopraindicata) gli enti locali debbono operare sia nella relazione previsionale e programmatica che nel bilancio di previsione di competenza. Anche le circolari ministeriali lo raccomandano in più punti. Infatti è solo in tali documenti che è possibile prevedere, per poi eseguire, operazioni di risparmio di spese o di ampliamento delle entrate. Per tutte si esaminino le operazioni raccomandate dal comma 2 dell’art. 28.

 

Nei documenti di programmazione ed in quelli conseguenti di previsione gli enti locali hanno modo di impostare una serie di operazioni concorrenti che possono consentire di raggiungere il risultato voluto dal legislatore.