Azienditalia n. 11 / 1996, pag. 767

 

I "RISCHI" DEL CONTROLLO DI GESTIONE

di Bellesia Mauro Dirigente di Ragioneria Comune di Vicenza

 

Una breve disamina delle potenzialità del controllo interno di gestione e dei rischi che quest'ultimo possa trasformarsi in un mero adempimento formale di tipo ispettivo e burocratico

 

 

La domanda se il controllo di gestione è una formalità, non si dovrebbe nemmeno porre.

Infatti, il controllo di gestione, aggiungendosi alle altre attività produttive, comporta costi aggiuntivi, a fronte dei quali si presuppongono benefici maggiori, altrimenti sarebbe un inutile spreco di risorse.

Il principio suddetto, che sta alla base di ogni definizione del controllo di gestione, è supportato dalla semplice logica del buon senso e, pertanto, appare palesemente inconfutabile; quello che bisogna chiarire, invece, è cosa si intende per "benefici".

E' questo il punto centrale che fa divergere le finalità e le modalità del controllo di gestione nel settore pubblico dal contesto aziendale.

I benefici, nell'ambito aziendale, si limitano all'utilità percepita dall'impresa quale soggetto economico individuale e sono quantificati dai ricavi; ricavi che, detratti i relativi costi, individuano il reddito o profitto quale principale indicatore di economicità dell'impresa.

In termini aziendali, quindi, l'introduzione e la permanenza del controllo di gestione si giustificano se tale attività comporta, nel lungo periodo, un aumento dell'economicità complessiva; ovvero, se i costi derivanti dal controllo di gestione vengono ampliamente compensati da riduzioni dei costi complessivi (o da un aumento dei ricavi o da entrambi) ottenuti tramite l'impiego di tecniche di controllo gestionale.

I benefici nel settore pubblico si riferiscono, invece, a una più vasta accezione di economicità che prende in considerazione natura, finalità e peculiarità dei servizi pubblici.

L'assenza di mercato, che caratterizza la maggior parte delle gestioni degli enti pubblici, rende i proventi dei servizi scarsamente significativi dei benefici ottenuti dall'ente (e indirettamente dalla collettività), per cui la ricerca dell'economicità dell'azione amministrativa va condotta con sistemi di misurazione diversi da quelli utilizzati nelle imprese e in particolar modo attraverso analisi di efficacia e di efficienza a livello sia preventivo, sia consuntivo.

Per quanto riguarda in particolar modo gli enti locali, le finalità del controllo di gestione, definite dall'art. 20 del D.Lgs. n. 29/93 e dall'art. 39 del D.Lgs. n. 77/95, comprendono oltre a concetti comuni a tutte le accezioni di controllo di gestione (riconducibili, peraltro, alle generiche definizioni di efficacia e di efficienza), anche la correttezza e la trasparenza dell'azione amministrativa, che rispecchiano la natura costituzionale ed amministrativa degli enti stessi.

La presenza di scopi e modalità amministrative certamente più complessi nel pubblico rispetto al settore aziendale, non toglie che, comunque, debba sempre sussistere quel principio base (citato all'inizio) secondo il quale una attività di controllo gestionale si giustifica solo se i risultati di tale attività compensano i relativi costi.

Questo principio dovrebbe essere, a parere di chi scrive, la "stella polare" ovvero il punto di riferimento del controllo di gestione, non solo nella fase di avvio ma anche in ogni momento di realizzazione dello stesso.

In altri termini, bisogna costantemente dimostrare che le informazioni prodotte siano effettivamente di aiuto a chi dirige e governa l'ente locale con un grado di utilità che copra almeno i costi sostenuti.

Se così non avviene c'è il rischio di generare un ulteriore controllo formale che non incide positivamente nelle decisioni gestionali.

 

Le variabili critiche

A parere dello scrivente esistono attualmente elementi tali da far pensare che il grado di rischio sia effettivamente elevato.

Vediamoli insieme:

1) l'obbligo (art. 40, D.Lgs. n. 77/95) di sottoporre a controllo tutte le attività dell'ente, quando le attività stesse sono innumerevoli e sono gestite con modalità estremamente diversificate, sembra un obiettivo difficilmente raggiungibile.

Chi conosce la realtà degli enti locali o, meglio ancora, chi ha collaborato all'avvio di un progetto di controllo gestionale, sa perfettamente che monitorare tutto è, a volte, molto difficile, almeno con i mezzi che generalmente si hanno a disposizione.

Pertanto, se non si prevede un'organizzazione adeguata, c'è il rischio che il controllo di gestione si riduca a considerare solamente alcuni indicatori standardizzati per ciascun servizio, compromettendo di fatto le potenzialità conoscitive e, indirettamente, il valore segnaletico di eventuali confronti fra enti diversi;

2) la scelta che ciascun ente locale deve fare nel regolamento di contabilità sulla base dell'art. 74 del D.Lgs. n. 77/95 ("gli enti locali... adottano il sistema di contabilità che più ritengono idoneo per le proprie esigenze"), può essere considerata da due punti di vista diametralmente opposti:

a) come un'opportunità (senz'altro auspicabile) per creare un sistema contabile all'avanguardia, tale da permettere rilevazioni quotidiane dei fatti di gestione sotto l'aspetto (tridimensionale) finanziario, economico e patrimoniale;

b) come una passiva e acritica accettazione del "contenuto minimale" di contabilità economica previsto dal D.Lgs. n. 77/95 e, cioè, la formazione di un conto economico complessivo e di un conto del patrimonio generale per tutti i servizi dell'ente, alla fine dell'esercizio tramite il prospetto di conciliazione.

E' chiaro che la scelta dell'art. 74, nella seconda ipotesi, trascura un elemento essenziale del controllo di gestione: quello appunto della rilevazione infrannuale dei costi e dei proventi.

Ciò può significare (nella realtà dei comportamenti effettivi) rinunciare automaticamente ad una serie di controlli durante la gestione di riscontro dell'economicità dei servizi o delle attività esercitate.

Al contrario, la scelta dell'art. 74 nella prima ipotesi (contabilità generale affiancata a quella finanziaria) permette di effettuare chiusure periodiche dei conti (per esempio semestrali o quadrimestrali) così come avviene a fine anno con il calcolo degli ammortamenti, la determinazione del valore delle rimanenze, dei ratei, dei risconti, ecc.; il vantaggio consiste nel poter misurare l'andamento dell'economicità dei servizi anche durante la gestione, rendendo effettivamente possibili, se del caso, azioni correttive.

Ma c'è di più: l'art. 71, comma 8, del D.Lgs. n. 77/95 recita testualmente: "il regolamento di contabilità può prevedere la compilazione di conti economici di dettaglio per servizi o per centri di costo".

La seconda ipotesi precedentemente formulata (accettazione del "contenuto minimale" di contabilità economica) combinata con la mancata previsione di conti economici di dettaglio, costituiscono la premessa per rendere pressoché impossibile un controllo di efficienza dei singoli servizi, non solo durante la gestione, ma anche in sede consuntiva.

Non si può dimenticare, infatti, che efficienza ed economicità si valutano tramite indicatori (o quozienti) che contemplano costi o proventi; se mancano, o non sono attendibili, costi e proventi non si possono fare, di conseguenza, valutazioni in ordine al grado di efficienza dell'azione amministrativa.

Non si possono fare neppure valutazioni di efficacia poiché, sembra evidente, che non basta sapere come sono stati raggiunti gli obiettivi senza la quantificazione dei relativi mezzi impiegati (costi).

Pertanto, c'è il rischio di non poter fare (un serio) controllo di gestione dal momento che mancano alcune informazioni essenziali;

3) in base al nuovo contratto collettivo della dirigenza degli enti locali, una parte della retribuzione dei dirigenti, detta retribuzione di risultato, viene corrisposta nell'ambito di un processo di valutazione che prevede la partecipazione del controllo interno di gestione (o nucleo di valutazione).

Da ciò si può riscontrare la tendenza ad allargare le funzioni proprie del controllo di gestione a controlli di prestazioni individuali, a volte collegati a fattispecie sanzionatorie.

In tal caso, il controllo di gestione verrà inteso dai dirigenti-funzionari dell'ente, non come dovrebbe essere e cioè un supporto informativo utile per gestire meglio, ma come un ulteriore controllo formale dal quale dipende sia il livello della retribuzione, sia un possibile intervento da parte della Corte dei Conti [1].

C'è pertanto il rischio che il controllo di gestione sia di fatto considerato un controllo di tipo "ispettivo" non molto diverso dagli altri tradizionali controlli amministrativi;

4) la diatriba sulla presunta diversità tra nucleo di valutazione e controllo interno di gestione, la definizione delle funzioni e la composizione del nucleo di valutazione sono tutti aspetti che, se considerati oltre un certo limite, possono mettere in secondo piano le prioritarie finalità del controllo di gestione.

Se queste tematiche prendono il sopravvento c'è il rischio di continuare a discutere su problemi marginali creando ulteriori vincoli amministrativi non conciliabili con gli scopi primari del controllo di gestione.

In conclusione, pur nella consapevolezza che nel contesto degli enti locali il controllo di gestione presenti elementi e modalità attuative diverse e molto complesse rispetto alla corrispondente nozione aziendale, si avvertono, da parte di chi opera da anni nel controllo di gestione e crede fermamente nell'utilità dello stesso, notevoli rischi, nel momento in cui aspetti marginali di tipo burocratico-amministrativo sembrano prevalere sui principi fondamentali che stanno alla base dell'accezione del controllo di gestione, sia nel settore aziendale, sia in quello pubblico.

I rischi si riferiscono, ovviamente, all'eventualità che il controllo di gestione diventi, di fatto, un ulteriore adempimento formale.

 

 

 


Note:

1 Si sta prospettando da più parti un aumento delle ipotesi di danno erariale a seguito delle leggi n. 142/90, n. 241/90 e del D.Lgs. n. 77/95; un esempio ci è dato dai danni per disservizi o i danni per mancato raggiungimento dei risultati previsti (sentenza n. 152/R/96 dell'11 marzo 1996).